La seconda fatica di Ercole

«e ‘n su la punta de la rotta lacca

l’infamia di Creti era distesa

che fu concetta ne la falsa vacca»

(Dante, Inferno, Canto XII, 11 – 13)

Nella Prima fatica di Ercole, il Viandante conosce la meta della sua vita: la conquista del Vello d’oro, rappresentazione simbolica della conoscenza sapienziale, edenica, precedente la caduta, che ha provocato la frantumazione dell’unità conoscitiva. Il viaggio di Giasone, accompagnato dai 50 eroi, tra cui Eracle, rappresenta il viaggio della vita, il viaggio che si compie, spesso inconsapevolmente, dentro se stessi.

Nella Seconda fatica, Eracle affronta il Toro di Creta.

La mitologia taurina presente discordanti versioni, che andremo ad illustrare.

Rembrandt. Il rapimento di Europa (Paul Getty Museum, Los Angeles)

Nell’ambito della mitologia greca, si racconta che Europa, principessa fenicia, figlia di Agenore e Telefessa, raccogliesse con delle amiche dei fiori sulla spiaggia. Zeus, che la osservava attentamente, chiese ad Ermes di far avvicinare al grazioso gineceo dei buoi di proprietà del padre della fanciulla, perché potesse trasformarsi in uno splendido quanto mansueto toro, onde avvicinarsi alla bella, perché fosse ammirato. Europa, attratta dalla bellezza dell’animale, gli salì sul dorso e così Zeus poté rapirla, attraversando il mare, per condurla a Cnosso, sull’isola di Creta. Dall’unione, nacquero tre figli: Minosse re di Creta, Radamanto giudice degli inferi e Serpendonte, che furono adottati dal marito della principessa, Asterione re di Creta.

Al fine di succedere al trono del padre, Asterione, Minosse assicurò di essere benvoluto dagli dei, pronti ad esaudirlo in ogni sua richiesta. Pregò quindi il dio Poseidone di far emergere dal mare la vittima, che avrebbe sacrificato, per la sua incoronazione: un toro bianco dalle magnifiche sembianze. L’animale fu inserito in una mandria, che stava pascolando e Minosse ordinò di sacrificare un altro toro in sua vece. Frattanto Pasifae diventò la moglie del Re di Creta; immediatamente scattò la vendetta di Poseidone, il quale fece innamorare la regina del toro bianco, sottratto al sacrificio.

Copp in ceramica del VI sec. a. C. (Museo Nazionale Archeologico di Spagna)

Dedalo fu informato dall’insano amore e, per permettere la sacrilega unione tra la donna e l’animale, costruì una vacca di legno ricoperta con pelle bovina, nella quale si sarebbe introdotta la donna, per soddisfare il suo blasfemo desiderio, che avrebbe generato Asterio, il Minotauro, un mostro con la testa di toro e il corpo umano. Minosse intuì che, dietro a quell’insana passione, che aveva colpito la sua sposa, si era verificato l’intervento vendicativo di Poseidone. Al fine di non sollecitare ulteriormente l’ira del dio, rinchiuse il Minotauro nel labirinto di Cnosso, costruito da Dedalo, perché nessuno potesse vederlo. Androgeo, figlio di Minosse, si recò ad Atene, per prender parte ad alcuni giochi tauromachici, cadendo vittima del toro di Maratona. Il re cretese, allora, accusò gli ateniesi della morte del figlio, minacciando vendetta, che sarebbe arrivata terribile: ogni anno gli abitanti di Atene avrebbero sacrificato sette fanciulli maschi e femmine, consegnandoli quale pasto al Minotauro. Nel plotone delle vittime, prese posto Teseo, figlio del re di Atene, Egeo, il quale, appena giunto a Creta, fu ricevuto dal re Minosse. Qui s’incrociò, per la prima volta, lo sguardo tra il giovane eroe e la bella principessa, Arianna, la quale per amore avrebbe aiutato Teseo ad uccidere il fratellastro. Condottisi nei pressi del labirinto, gli consegnò un gomitolo, che iniziò a dipanare fino a giungere davanti al terribile Minotauro, che fu sconfitto dopo un lotta senza tregua. Quindi, grazie al «filo», poté guadagnare l’uscita, dove la bella innamorata lo aspettava trepidante.

Antonio Canova. Teseo sul Minotauro (Cromwell gardens, Londra)

Ovidio nel libro II delle Metamorfosi (versi 846 – 875) narrerà:

[…] il padre e signore di tutti gli dèi,

[…] assume l’aspetto di un toro, e muggisce in mezzo

alle giovenche, e cammina, bellissimo, sull’erba tenera.

[…] Lo contempla la figlia di Agenore

come è bello, e non minaccia battaglie     

ma, per quanto mite, ha paura a toccarlo dapprima,

poi gli si accosta e porge fiori davanti al candido

muso […]

[…] le salta intorno sull’erba verde,

[…] le offre il petto

da toccare con la mano virginea, e le corna

da inghirlandare di fiori freschi. La figlia del re osa anche,

senza sapere chi è, sedergli in groppa,

e il dio si allontana senza parere dal lido,

[…] poi va avanti e si porta la preda in mezzo

al mare. Lei guarda terrorizzata la spiaggia

che si allontana, e tiene con la destra un corno:

l’altra mano sta sulla groppa e le vesti tremando si gonfiano al vento.

Un’altra leggenda aggiunge una versione, in cui si prevede l’ingresso nel mito del Toro della figura di Ercole, laddove si crea uno strano incrocio tra il Toro di Maratona, che avrebbe ucciso, Androgeo, punto di contatto con il Minotauro, di cui è stata ampiamente riportato il racconto mitologico.

Poseidone, accortosi che Minosse non procedesse per il sacrificio, fece infuriare il toro, perché devastasse Creta. Euristeo, venuto a conoscenza dei fatti, ordinò ad Ercole di portargli il toro vivo; il Tebano riuscì a catturare vivo l’animale, soffocandolo con le proprie mani, portandolo quindi con sé ad Atene, dove Euristeo l’avrebbe sacrificato  in onore di Eracle. Per non riconoscere la gloria dell’eroe, Era rifiutò il sacrificio, costringendo alla libertà il toro, il quale nel suo vagabondaggio si fermò a Maratona, diventando noto come «toro di Maratona».

Laddove il mito si confonde, s’interseca, perdendosi e diluendosi nelle spire dello spazio atemporale, è opera del Viandante ricavarne gli aspetti simbolici e riunirli, al fine di ricondurli all’Unità primordiale.

Eracle deve combattere da solo contro un toro, poiché il combattimento rappresentava nell’antichità una delle prove, a cui era sottoposto l’eroe. Egli è solo e nel silenzio intende i suoi moti interiori, indaga sulla natura istintivo – materiale (il toro), perché si possa domarla, per mai espellerla. L’istinto è parte integrante della realtà umana, quindi il Viandante potrà addomesticarlo, per inglobarlo nella propria personalità. Non è – in ultima analisi – un lavoro ad excludendum ma includendi. L’istinto è quella parte dell’uomo, che, se non irreggimentata – come il toro di Poseidone – causa molte sofferenze a chi ne è vittima.

Eracle stanca – nel tempo e col giusto uso del tempo -, un poco alla volta il toro – istinto, per poi caricarlo sulle sue spalle e portarlo in dono al Re Euristeo; così come il Viandante, caricandosi sulle spalle la propria parte istintiva – emozionale, la signoreggia, essendo finalmente divenuto abile controllore dei propri istinti.

Il toro è confinato sull’isola di Creta, quindi in luogo separato dalla terraferma. E’ la caratteristica principale per chi ricerca: la solitudine, in cui il Viandante, racchiuso nel silenzio interiore, dovrà ascoltare la parte istintiva, per confinarla in un luogo separato (come l’isola di Creta). Quando inizierà il percorso verso la Conoscenza, a poco a poco il Cercatore sarà in grado di utilizzare lo strumento della Parola, producendo parole – suono e non chiacchiere – rumore.

Era rifiuta il sacrificio del Toro, catturato da Eracle, perché avrebbe glorificato l’impresa dell’eroe; la Conoscenza non prevede premi e traguardi. La gloria è estranea al Cammino.

Il mito unisce due eroi Eracle con Teseo, entrambi ricercatori del Vero; entrambi combattono nel labirinto dei propri istinti, al fine di domarli. Ecco la straordinaria attualità del mito, che – parlando dell’Uomo – mostra come egli sia stesso fin dai tempi antichi.

Teseo – al contrario di Eracle – deve uccidere il Toro, perché la natura tragica dell’istinto porta alla distruzione della nostra parte titanica. Attenzione quindi alle tendenze teseiche! L’istinto non va ucciso, ma educato, edulcorato, ammansito, perché ineliminabile. La Conoscenza insegna a distinguere il suono dal rumore, la parola dalle chiacchiere, la risposta istintiva dalla risposta razionale per individuare, un poco alla volta, l’elemento divino, che è in lui ed allora il Silenzio diventa Musica.

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