Dall’epistolario mozartiano

Numerosissime le lettere che compongono l’epistolario mozartiano, le quali presentano errori ortografici soprattutto nelle frasi in lingua italiana e francese, improvvisi elevati ideali e racconti delle miserie economiche, squarci di semplice fede religiosa e volgarità grossolanità. In alcune lettere, egli fissa i suoi ideali estetici a proposito dell’opera in musica, come in una comunicazione al padre del 26 settembre 1871, mentre componeva Die Entführung aus dem Serail (Il ratto del serraglio), in cui rivelava la scelta di cambiare frequentemente ritmo e tonalità, al fine di rendere verosimile l’ira violenta del furibondo Osmin, poiché: «un uomo che si trovi in tale furore rompe ogni ordine, natura e limite, non ha più coscienza di sé e analogamente deve avvenire nella musica. […] Ma dovendo le passioni, violente o no, non essere mai espresse fino al disgusto, né mai dovendo la musica, anche nelle situazioni più orribili, offendere l’orecchio, anzi pur allora dilettare, dovendo restare insomma sempre musica, ho scelto allo scopo non più una tonalità estranea in fa (tonalità dell’aria) ma un’affine: non però la prossima re minore, si bene la più lontana, la minore». Queste parole sicuramente dimostrano come Mozart non fosse propenso all’uso di soluzioni ardite e che non avrebbero dovuto comunque offendere l’orecchio dell’ascoltatore, perché la «musica restasse sempre musica».

A proposito dei rapporti tra musica e poesia, scrive:

«No so, ma nell’opera la poesia deve essere in maniera assoluta figlia ubbidiente della musica. Perché mai le opere italiane piacciono universalmente, con tutta la miseria dei loro libretti? Perché in esse la musica è padrona assoluta e fa dimenticare tutto il resto».

Al fine di offrire una pur equilibrata esegesi, dovremmo contestualizzare il significato della proposizione all’interno delle condizioni del melodramma del suo tempo e di quanto Mozart si riveli assai vicino alle tendenze dell’arte italiana piuttosto che prodromo delle future teorie wagneriane.

Le prime lettere furono scritte durante i tre viaggi, che Mozart compì in Italia tra il 1769 ed il 1773, indirizzate alla madre, in cui comunica tutta la gioia di visitare le principali città del Belpaese e ricevere da papa Clemente XIV l’ordine cavalleresco dello Speron d’oro. Narra dell’esibizione del soprano Lucrezia Aguiari detta la Bastardella, che sembra giungesse al do con cinque tagli in gola (ch’egli stesso trascrive), della gestazione dei propri lavori, da cui apprendiamo la facile trascrizione delle sue idee musicali. Non si dimentica dell’onomastico materno, nel mentre stava contraendo impegno di scrivere un’opera, di cui, secondo la prassi dell’epoca, ignorava il titolo, per il Teatro Ducale di Milano (il Mitridate, Re di Ponto) e di cui comunicherà il grande successo riscosso alla mamma. Accenna sommariamente alla composizione di una serenata, l’Ascanio in Alba, su testo di Giuseppe Parini, che avrebbe ricevuto festose accoglienze.

Delle lettere scritte durante il periodo trascorso a Monaco di Baviera ed Augusta (1774 – 1777), ricordiamo, in particolare, l’elaborato inviato al suo maestro, P. Giovan Battista Martini, con cui gli manifesta «venerazione, stima e rispetto» e a cui chiede «alla maestrale giudicatura francamente e senza riserva» su una sua composizione (La finta giardiniera), chiudendo: «Oh quante volte desidero d’esser più vicino per poter parlar e raggionar con Vostra Paternità molto Reverenda!».

In altre lettere, parla delle misere condizioni economiche, in cui versava e, quindi, di risolverle entrando al servizio del Principe Elettore, di cui narra il contenuto dell’incontro:

«Sono stato già tre volte in Italia, ho scritto tre opere, sono membro dell’Accademia di Bologna, ho dovuto sostenere una prova nella quale molti maestri hanno lavorato e sudato da quattro a cinque ore, il l’ho terminata in un’ora. Ciò possa servire d’attestazione che sono in grado di servire in qualunque Corte». Non se ne fece nulla.

A proposito dell’Italia, scrive:

«[…] in nessun paese del mondo ho ricevuto tanti onori, in nessuno sono stato apprezzato tanto quanto in Italia e ha molto credito chi ha scritto opere in Italia e specialmente a Napoli», che all’epoca, non essendo ancora stato costruito il Teatro alla Scala, era considerato il centro musicale dell’Europa.

«Basta ch’io senta discorrere di un’opera, basta ch’io sia a teatro e senta delle voci…oh sono già tutto fuori di me!», una delle descrizioni più ammirate del suo intimo di musicista.

«Non sono poeta, non sono pittore, non so nemmeno esprimere i miei sentimenti e i miei pensieri con cenni o con pantomime; non sono danzatore. Ma si lo posso coi suoni: sono musicista».

Nel gruppo di lettere scritte da Mannheim, dove si sarebbe innamorato di Aloysia Weber, e da Parigi, dove avrebbe perso la madre, vi sono alcune particolarmente bizzarre e talvolta scurrili, rivolte alla sua cugina, Anna Maria. Si mostra assai irritato verso il Vogler per i sentimenti negativi espressi nei riguardi di Johann Sebastian Bach; parla con tenera espressione dei suoi intimi sentimenti religiosi, del suo tenero amore, non ricambiato, per Aloysia, verso cui avrebbe nutrito propositi matrimoniali.

Le lettere, comprese nel biennio 1780 – 81, si riferiscono alla permanenza del musicista nella città di Monaco, dove avrebbe rappresentato l’Idomeneo, di cui conserviamo notizie assai interessanti sulla collaborazione col librettista, sul rapporto coi cantanti («ingolfati nelle viete forme di un tempo e miranti soltanto all’effetto virtuosistico»).

Di genere piuttosto patetico, le lettere scritte da Vienna tra il marzo e l’agosto del 1781, in cui Mozart parla di tutti i soprusi e gli oltraggi del Cardinal Colloredo, cui avrebbe reagito colle dimissioni, che cercò, in qualche maniera, di giustificare al padre, Leopold:

«Per piacere a Lei, babbo carissimo, vorrei sacrificare la mia felicità, la mia salute e la mia vita: ma il mio onore, e per me e per Lei, deve stare sopra di tutto».

Liberatosi dall’oppressione del Colloredo, Mozart si pose a comporre il nuovo singspiel, Die Entführung aus dem Serail (Il ratto del serraglio), informando del corso compositivo la sorella, Nannerl, ed il padre. Una parte poco cospicua di lettere riguardano il fidanzamento con Costanza Weber, sorella minore dell’infelice amore, Aloysia, seppur piene di nobili pensieri.

L’ultimo gruppo delle lettere, ci offre il grande artista versato nella composizione della Trilogia dapontiana, preoccupato dalla miseria, che lo costringe a chiedere prestiti agli amici.

Ormai prossimo alla Grande Iniziazione, scrive al padre:

«Essendo la morte, chi ben guardi, il vero scopo della nostra vita, da un paio d’anni ho fatto tanta dimistichezza con questo vero ed ottimo amico dell’uomo che la sua immagine non solo non ha più nulla di spaventoso per me, ma m’infonde molta tranquillità e conforto».

A Lorenzo Da Ponte, nel settembre 1791:

«Lo sento a quel che provo che l’ora suona: sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto il mio talento. La vita era pur sì bella, la carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiare il proprio destino».

Il 5 dicembre, la sua anima sublime tornava nel Principio.

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