Monaldo Leopardi era proprietario di due appartamenti poco distanti dal palazzo nobiliare, in uno dei quali alloggiava con la famiglia il cocchiere della casa, Giuseppe Fattorini. Dalla moglie, Maddalena Santinelli, ebbe cinque figlie, che sarebbero stata impiegate come tessitrici, l’ultima delle quali morirà nel 1818: Teresa, dalla voce angelica.
Sarà la musa di Giacomo Leopardi per il capolavoro di «A Silvia» e per «Le ricordanze» (Nerina).
Mentre il Leopardi attendeva agli studi, il canto della giovine tessitrice lo distraeva, giungendo gentile e carezzevole. Nel mese di maggio, tanto caro al cuore del Poeta, lasciava gli studi, per recarsi sul balcone, guardare il cielo sgombro di nubi, mentre Silvia, colla sua voce, accompagnava quei rari momenti di dolce malinconia.
Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
Io, gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte1.
Giacomo idealizza, ancora una volta Teresa, rapito dal suo canto, immaginando di esserne il confidente, essendo lei destinata ad altri. Confermò Teresa Leopardi:
«La Fattorini fissò neppure per ombra gli effetti di Giacomo, attratto soltanto, e Carlo più ancora di lui, dal suo canto boschereccio, dal repertorio svariatissimo dei suoi stornelli, or lieti, or mesti».
Teresa finiva i suoi giorni al diciottesimo anno a causa di una malattia, forse causata da una freddura.
Così cantava Giacomo:
Tu, pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
Giacomo conservò il caro ricordo della sfortunata, tantoché, negli ultimi anni della sua vita, si sarebbe compiaciuto – come scrisse Antonio Ranieri – nell’udire il canto di una giovane tessitrice dal nome Silvia. Il dolce ricordo gli avrebbe rammemorato il tempo beato, in cui sperava ancora di essere felice.
Nelle «Ricordanze» disse a Nerina – Teresa
Ove sei, che più non odo
la tua voce sonar, siccome un giorno,
quando soleva ogni lontano accento
del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto
scolorarmi?…………………………..
Nel Canto, dapprima narra delle speranze e degl’inganni della sua prima età, dei primi grandi, tragici amori, del doloroso poetare, ma anche la tenue speranza, che
al somigliare d’un lampo
Son dileguati……………….
Ed oggi, il cuore del Poeta sembra fisso nell’abbandono di ogni speranza, ed allora l’unico pensiero volge a lei, a Teresa:
O Nerina! e di te forse non odo
questi luoghi parlar? caduta forse
dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
che qui sola di te la ricordanza
trovo, dolcezza mia?