Gabriele D’Annunzio e l’amore per Maria Hardouin di Gallese

L’amore per la sua «Lalla», Elda Zucconi, ormai era un ricordo, che lentamente stava svanendo; e così, nel gennaio del 1883, firmò la sua ultima lettera indirizzata alla «prima conquista», «alla vergine purissima», che accettò la fine in silenzio.

Lo Scrittore si abbandonò alla sua vita di esteta, contraendo pesanti debiti e ottenendo lucrosi contratti dagli editori, al fine di soddisfare il suo inesauribile desiderio di lusso, fingendosi quasi protagonista dei suoi futuri romanzi. Frequentò concerti, mostre, le corse ippiche, le cacce a cavallo e soprattutto le case aristocratiche, dove avrebbe finalmente trovato quel mondo tanto agognato ed in cui avrebbe desiderato nascere.

Maria Hardouin di Gallese (1864 – 1954)

Ed in quell’universo magico, incontrò una fanciulla, fra le più belle e forse la più ingenua: Maria Hardouin di Gallese, che avrebbe desiderato sposare, perché tutta Roma ne parlasse: un ennesimo colpo pubblicitario. I due giovani s’incontrarono il 5 febbraio 1883 presso i saloni di Palazzo Altemps, dove la mamma della ragazza, la duchessa Natalia, ospitava artisti e personaggi di varia estrazione e talento. Gabriele si profuse in regali pazzi; organizzò passeggiate romantiche, visite a chiese e musei, cosicché Maria finalmente cedette contro la volontà genitoriale, che s’impose, perché la relazione non avesse futuro. Gabriele fu pregato di astenersi dal partecipare ai convivi di casa Gallese, ma i giovani riuscirono ad eludere la rigida vigilanza paterna, tantoché il 16 maggio, sulla «Cronaca bizantina», lo Scrittore pubblicò una poesia, «Il peccato di maggio», in cui rese pubblico l’avvenuto incontro «nel plenilunio reo di calendimaggio», in cui Maria sarebbe stata deflorata.

Gabriele continuò la sua vita mondana in attesa che la notizia montasse a scandalo; così il 28 giugno, la ragazza, abbandonato il palazzo, si recò alla stazione, dove avrebbe trovato il suo amante, per scappare a Firenze, dove la giovane coppia sarebbe stata ospitata da un amico del Poeta. Il babbo, saputa la disubbidienza, avvertì la polizia, che prelevò la ragazza, appena giunta, per rispedirla scortata a Roma l’indomani. Intanto tutta Roma parlò dell’evento scandalizzata; la stampa anche s’interessò, finché il terribile terremoto di Casamicciola non intervenne a sedare il pettegolezzo. Gabriele lasciò Roma, per consultarsi coi suoi in Abruzzo ed ottenere l’inevitabile consenso alle nozze.

Giosuè Carducci (1835 – 1907)

Verso la metà del mese di luglio, uscì l’«Intermezzo di rime», che scatenò un’immediata polemica da parte del critico Giuseppe Chiarini, che diede del «porcellone» al Poeta, invocando l’intervento del procuratore del Re. La discussione ben presto vide il concorso di diversi letterati, tra cui Luigi Lodi sulla «Domenica letteraria», Enrico Panzacchi, il Nencioni, Leone Fortis ed Edoardo Scarfoglio, le cui posizioni furono riassunte nel libro «Alla ricerca della verecondia», che l’editore Sommaruga si affrettò a stampare. Il D’Annunzio non intervenne nella tenzone, lamentando in una lettera del 24 giugno 1883 al Chiarini che l’«Intermezzo di rime – era stato – il prodotto di un’infermità, di una debolezza di mente, di una decadenza momentanea – concludendo che il lavoro doveva essere considerato – una manifestazione d’arte malsana». Il Carducci chiosò in una lettera del 21 luglio a Luigi Lodi: «Quanto alla porcheria del D’Annunzio, il vero è che è roba porca, come esecuzione e lavoro d’arte».

«Intermezzo di rime» è composto di ventisei composizioni; sarebbe seguita poi una seconda edizione, a cura del Sommaruga, nel luglio 1884, aggiunta di tre nuovi componimenti e nello stesso anno l’editore Bideri pubblicò l’edizione definitiva, «Intermezzo», compresa di cinquantacinque poesie, che sarà riprodotta dal Treves nel 1896.

Il 28 luglio 1883, Gabriele impalmò, nella cappella di Palazzo Altemps, la giovane Maria, nell’assenza del padre della sposa e dei genitori, che così manifestarono il forte disappunto delle nozze, appoggiate invece dalla moglie duchessa, donna Natalia. Al termine della funzione, i giovani sposi partirono per Porto S. Giorgio, dove Carmelo Errico aveva riservato un appartamento per la coppia; in settembre il definitivo passaggio a Pescara, ospiti dei genitori di Gabriele. Pochi giorni dopo si ritirarono nella residenza Villa del Fuoco, dove il Poeta si provò nella stesura delle novelle del «Libro delle vergini» e nel dedicare qualche sonetto alla moglie, «Yella», «Maraia» e «Marioska», opportunamente ripescato, con le opportune modifiche, dal precedente repertorio.

Gabriele pensava ad un improbabile ritorno a Roma, dove – tra l’altro – aveva lasciato molti debiti insoluti. Il 1 ottobre 1883 fu chiamato alle armi, ma riuscì ad evadere il servizio militare grazie all’iscrizione all’università.

Il 13 gennaio 1884, il Poeta diventò padre di Mario:

«Mi accostai all’uscio chiuso della stanza e mi giunse un miagolio fioco e debole. Quel che provai non te lo so dire. So che irruppi su quella povera Maria e le stetti con la bocca sulla bocca lungo tempo, in una stupefazione di gioia, in uno smarrimento di pazzo», così scrisse al poeta Enrico Nencioni il 22 gennaio.

A causa della naturale vivacità, il bebè fu affidato alle cure dei nonni ed i neo genitori rimasero avvolti nella pace, «in questa campagna tutta verde e tutta viva».

Giuseppe Giacosa (1847 – 1906)

Nel mese di maggio, ebbe occasione di uscire dal rifugio pescarese grazie all’Esposizione Generale Italiana di Torino, invitato, colla consorte, da Edoardo Scarfoglio, dove rivide Giuseppe Giacosa, il famoso librettista di Giacomo Puccini.

Il mese successivo, l’editore Sommaruga diede alle stampe il «Libro delle vergini», con una copertina assai audace: tre donne nude intrecciate, che non riscosse il plauso di Gabriele, che avrebbe invece desiderato delle figure femminili e crocifissi bizantineggianti stilizzati dall’amico disegnatore Francesco Paolo Michetti. Al fine di creare interesse attorno al libro, fu orchestrata un’aspra polemica con minaccia di ricorso alla giustizia e lettere alla stampa tra Gabriele e l’editore, il quale, a causa delle eccessive critiche alla classe politica, e ad una gestione non propriamente corretta, fu arrestato il 6 agosto 1885 per truffa e tentata estorsione e condannato a sei anni di carcere. Già nell’ottobre del 1884, il D’Annunzio, con una lettera ai giornali, si era dissociato dalle iniziative dell’editore Sommaruga.

In Pescara, intanto progettava un romanzo di carattere storico, che archiviò nel breve volgere del tempo, ripensando ad una nuova avventura romana, dove poter anche interrompere la ormai noiosa monogamia.

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