L’organizzazione della scuola e della cultura secondo Antonio Gramsci

Il filosofo lamenta la segmentizzazione della scuola, causata dalla necessità di formare dei piccoli gruppi di docenti in relazione alle attività pratiche, per essere poi impiegati quali formatori di parte delle nuove generazioni.

Accanto alla scuola umanistica, che promuoveva «la cultura generale ancora indifferenziata», l’esigenza della cosiddetta modernità ha concepito delle scuole particolari, non nate secondo un piano preordinato e «senza principi chiari e precisi, senza un piano bene studiato e consapevolmente fissato». Ciò ha causato una crisi profonda dell’organizzazione scolastica in relazione alla formazione dei moderni quadri intellettuali. Si sarebbe dovuto invece dividere l’insegnamento in classico e professionale, invece che tecnico, il quale ha posto le basi per una generalizzata crisi, che ha investito seriamente «l’indirizzo umanistico della cultura generale fondata sulla tradizione greco-romana».  Il tentativo invece di depotenziare l’alto livello di formazione della scuola umanistica è ormai in atto, a favore di un insegnamento «interessato e formativo», riducendo ad un nucleo sempre più minuscolo l’istruzione tradizionale, favorendone l’iscrizione delle donne, per dirottare la forza maschile verso le nuove scuole professionali specializzate, «in cui il destino dell’allievo e la sua futura attività sono predeterminate».

Il Gramsci auspica allora una prospettiva futura, in cui la scuola iniziale dovrebbe fornire una cultura generale di origine umanistica, che contemperi «giustamente lo sviluppo della capacità di lavorare manualmente (tecnicamente, industrialmente) e lo sviluppo delle capacità del lavoro intellettuale».  Purtroppo, il peso dell’istruzione umanistica verrebbe sempre meno a favore di un’espansione dell’insegnamento specializzato o indicato verso il lavoro produttivo. Ogni attività pratica reclamerebbe una scuola specializzata, così come ogni attività culturale tenterebbe di costituire circoli, che «assumino la funzione di istituzioni post – scolastiche specializzate nell’organizzare le condizioni in cui sia possibile tenersi al corrente dei progressi che si verificano nel proprio ramo scientifico».  

Le nuove scuole pretenderebbero una propria burocrazia, attingendo anche al mondo economico – finanziario, generando un pericoloso meccanismo, attraverso cui burocrati di carriera finirebbero «per controllare i regimi democratici ed i parlamenti». Difficile la pacifica convivenza tra gli specializzati nella tecnica politica ed il nuovo personale dedito alle questioni concrete «di amministrazione delle attività pratiche essenziali delle grandi e complesse società nazionali moderne». L’ipotesi di specializzare il personale tecnico – politico, integrandone la conoscenza in base alle nuove necessità, apparirebbe quantomeno necessario, constatata l’inadeguatezza della preparazione giuridico – formale.

La scuola di formazione umanistica dovrebbe essere finanziata integralmente dallo Stato, al fine di non creare pericolose sacche di esclusione sociale, riguardo ai giovani appartenenti ai ceti economicamente più fragili, mirando alla costituzione di classi composte da pochi allievi, perché il livello di formazione possa risultare vicino all’eccellenza. La spesa scolastica potrebbe salire vertiginosamente, poiché diminuendo il rapporto allievi – insegnante, sarebbe necessario l’incremento del corpo docente.

La scuola unitaria d’indirizzo umanistico dovrebbe coinvolgere interamente il grado elementare e medio, in cui, accanto alle materie di prima istruzione, dovrebbe trovare posto l’educazione civica, con grande attenzione della specificazione del ruolo della società nell’ambito delle prerogative dello Stato. L’allievo dovrebbe concludere il ciclo verso i sedici anni d’età. Al fine di creare un gruppo per lo più omogeneo di classi, sarebbe necessario che già dall’asilo i bambini «siano abituati a una certa disciplina collettiva ed acquistino nozioni e attitudini prescolastiche».  La scuola unitaria dovrebbe essere organizzata come un collegio, riservando ampi spazi al ricovero notturno, a mense decorose e soprattutto a biblioteche specializzate. Si dovrebbe altresì promuovere lo studio collettivo, per promuovere il pensiero di socialità sotto l’attenta vigilanza del corpo docente.

Grazie a questa nuova metodologia quasi puramente dogmatica, l’allievo conserverebbe «un’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale è teoricamente illimitata», pronto ad affrontare il cammino universitario, ben saldo sui principi fondamentali dell’«umanesimo», fondamentale per un’ulteriore specializzazione  «di carattere scientifico (studi universitari) sia di carattere immediatamente pratico-produttivo (industria, burocrazia, organizzazione degli scambi, ecc.)».  L’indirizzo dello Stato dovrebbe conformare così le nuove generazioni, che nell’esperienza universitaria si dedicherebbero allo studio delle proprie personalità su una «coscienza morale e sociale solida e omogenea».  Coll’avvento della scuola unitaria, dalla fusione dell’indirizzo umanistico con quello professionale, si avvierebbero nuovi rapporti tra lavoro intellettuale ed industriale nell’ambito della società civile. Nell’ambito universitario, si creerebbero le condizioni per una nuova costituzione culturale, mentre alle Accademie sarebbe demandato il compito di avvicinare e rendere possibile la convivenza tra lavoro professionale e vita universitaria. Sarà necessario provvedere quindi ad una capillare organizzazione di dette Accademie nei centri urbani e rurali, perché anche le classi sociali più deboli possano essere interessate e partecipare, per quanto sia possibile, alla nuova organizzazione sociale della cultura.

ANTONIO GRAMSCI. Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, a cura di Valentino Gerratana. Editori Riuniti, Biblioteca del pensiero moderno, 1996, pag. 66 e seg.

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