Gabriele D’Annunzio e Elvira «Barbara» Leoni: cronaca di un grande amore

Donna Natalia Hardouin di Gallese brigò preso il principe Maffeo Sciarra Colonna, perché a Gabriele fosse assegnato un posto di redattore presso la «Tribuna», e così il 10 novembre 1884, la coppia prendeva alloggio presso Via XX Settembre 10 in Roma.

Dal 1o dicembre iniziò la collaborazione presso il giornale, dove il Poeta, incaricato della «parte letteraria» promosse anche rubriche mondane, musicali, mentre i grandi problemi, che attraversava il Paese, non sembravano acuire l’interesse del redattore. Nella redazione del «Capitan Fracassa», Gabriele incontrò la redattrice Olga Ossani, «Febea, astro d’argento», la prima amante dopo il matrimonio. Il Poeta la descrisse sulla «Tribuna» del 14 febbraio 1885 in una cronaca carnevalesca di Palazzo Tittoni accanto alla Duse. Il loro amore durò circa un anno, interrotto dalla volontà di «Febea» di accasarsi e così i due si lasciarono sul ponte Nomentano, descritto nella novella «Il commiato» e, più tardi, in un episodio de «Il piacere».

Il valente e volenteroso principe Sciarra, intanto, investiva nella «Domenica letteraria – Cronaca bizantina», un settimanale omaggio agli abbonati della «Tribuna». In un primo momento, fu Gabriele ad impegnarsi nel lancio del nuovo foglio, per poi abbandonarlo ad amici e colleghi. Durante l’estate, portò la famiglia a Francavilla, raggiunto dallo Scarfoglio e da Matilde Serao; inviò le corrispondenze alla «Tribuna» ed al neonato foglio settimanale, mentre allargò il consorzio familiare con Gabriellino, che sarebbe nato a Roma nell’aprile successivo.

Il 27 settembre su «Gli Abruzzi» comparve una nota, a firma Carlo Magnico, in cui si sbeffeggiava lo stile di vita di Gabriele, il quale, piccato, sfidò a duello il 30 dello stesso mese il giornalista, che lo avrebbe poi  ferito alla regione fronto – parietale destra con un fendente irregolare. La Serao scrisse che le successive cure, cui fu sottoposto il Poeta, sarebbero state la causa della sua precoce calvizie.

Il 20 novembre la coppia tornò a Roma, accasandosi in Via delle Quattro Fontane 159; Gabriele infittì la corrispondenza sul settimanale, arricchendola con articoli sia letterari che artistici, assumendo la direzione della «Cronaca bizantina», dopo la cessazione delle pubblicazioni de «La Domenica letteraria». Il nuovo foglio pubblicizzò un imminente romanzo di Gabriele, che rimase solo nella fantasia del Poeta. Prestigiosissime le firme, raccolte nella neonata pubblicazione: Capuana, De Amicis, Giacosa, Pascarella, Pascoli e Verga. Il primo numero vendette 15.000 copie; il D’Annunzio scrisse al Nencioni:

«Ho fatto un giornale questa volta pienissimo di attualità e mondanità», ma il 29 marzo 1886 cessò la pubblicazione a causa dei tanti debiti accumulati e così il Poeta pensò di ritirarsi, confessando al principe Sciarra di «rinunziare al mondo ed alle sue pompe. Tornerò al mio paese. Ho molti debiti. Una quindicina di migliaia di lire».

Emilio Treves

Contattò l’editore Emilio Treves di Milano, per proporgli un libro di prosa dietro pagamento di 1.500 lire alla consegna del manoscritto, «Pantaleonidi», un volume di undici novelle già apparse sul «Fanfulla della domenica». L’accordo fu trovato nella cifra di 1.000 lire e il 24 marzo il manoscritto era Milano, ma il Trves ritardava sul convenuto, sicché dietro un’ulteriore sollecitazione del D’Annunzio, l’editore rispedì il romanzo, che finì sulla scrivania dell’editore Barbera di Firenze, grazie ai buoni uffici di Matilde Serao insieme al progetto di un volume di poesie, «La porta del sole». Del romanzo variò il titolo, «San Pantaleone», un volume di diciassette novelle, che sarebbe stato riassorbito nelle «Novelle della Pescara» (1902). Purtroppo non colse un felice successo presso i lettori, così come presso la critica piuttosto fredda. Il periodo davvero sfortunato fu allietato dalla nascita di Gabriele Maria, avvenuta il 10 aprile 1886, «Gabriellino».

A Natale, la «Tribuna» uscì in abbinamento con «Isabella Guttadauro», acremente criticato dal «Corriere di Roma», diretto dallo Scarfoglio, che s’insinuò nella vita privata del Poeta, sui presunti rapporti tra Maria di Gallese e Maffeo Sciarra. Un nuovo duello fu combattuto, stavolta fuori Porta Pia, dove Gabriele fu ferito, anche se nel «Libro segreto» scriverà di aver porto il braccio.

Agostino Depretis

Il 30 gennaio 1887 arrivò la notizia della strage di Dogali, in cui le truppe italiane, impegnate nell’espansione dell’area d’influenza, caddero nell’attacco abissino. Il governo, guidato da Agostino Depretis, si dimise, mentre scoppiarono delle agitazioni popolari. D’Annunzio improvvisò una composizione di 105 ottonari, «Per gli italiani morti in Africa», che suscitò grande eco.

Il cuore del Poeta iniziò a battere per la giovane pianista Ida Bosisio, ma la corte stringente di Gabriele causò la fine repentina del rapporto colla distruzione delle quindici poesie alla Ida dedicate.

Elvira Barbara Leoni

Il 2 aprile avvenne l’incontro fatale con Elvira «Barbara» Leoni, durante un concerto presso il Circolo artistico di Via Margutta, che scatenò la vena creativa di Gabriele nel «Trionfo della morte» e nelle «Elegie romane». Le lettere sono la testimonianza sincera del processo di formazione di alcune opere del D’Annunzio, rivelata nell’estetismo decadente, aperto a momenti di autentica poesia.

«Il trionfo della morte» racconta la storia romanzata dell’intenso rapporto, che prevede il tragico finale nella letteratura, ed il normale fine di un rapporto nella vita.

Barbara era nata a Roma nel 1862; a ventitré aveva sposato Ercole Leoni, sotto pressione genitoriale, impiegato presso una ditta commerciale. Il rapporto non decollò e così la giovane abbandonò il tetto coniugale solo poche dopo settimane, per trovare ricovero presso la casa paterna dopo la dolorosa perdita di un bambino. Il 4 aprile scambiò il primo bacio con Gabriele, che incontrò successivamente nello studio del pittore Boggiani e nell’appartamento di Via dei Prefetti di proprietà del musicista Francesco Paolo Tosti. Sarebbe stato il più grande amore nella vita del Poeta, che trasfuse parte del racconto ne «Il piacere». La donna, bella e provocante all’eccesso, si prestò ai giochi erotici del Poeta, puntualmente rievocati nelle lettere, nonostante la moglie fosse nuovamente incinta.

Il 24 luglio, apparve sul «Fanfulla della domenica» la prima delle «Elegie romane», caratterizzate da un prezioso intellettualismo ed un’aria erotica, propria del super uomo, che stava emergendo, grazie alle qualità dell’amante. La coppia si separò in giugno, quando Gabriele dovette riparare a Pescara, per porre soluzioni ai problemi economici della famiglia, rimanendo in contatto grazie ad una fittissima corrispondenza, che conterà circa mille missive. Il Poeta tornò a Roma in luglio; Barbara partì il 31 per Rimini e Gabriele, sconsolato, riparò al Caffè Morteo, al pianterreno di Palazzo Ruspoli, dove incrociò fortunosamente il marito della Barbara. Intanto la moglie scoprì la tresca, rendendo la vita dello Scrittore un autentico inferno, da cui riuscì ad emergere, raccogliendo l’invito in una crociera sull’Adriatico, organizzata dall’amico Adolfo De Bosis. Il 13 agosto i D’Annunzio partirono; Maria scese a Pescara, mentre Gabriele seguì, per raggiungere l’amico ad Ancona, dove la partenza fu ritardata di alcuni giorni, costringendo, il 31 del mese, il Poeta a servirsi di un treno per l’agognata meta. Purtroppo non ebbe modo d’incontrare la donna da solo, impegnata coi parenti in visite ai musei e dotte conversazioni pubbliche. Nei primi giorni di settembre, la crociera fu avviata, escludendo la tappa di Rimini, a causa di un improvviso errore di navigazione, che smarrì l’imbarcazione, recuperata dall’Agostino Barbarigo ed attraccata ingloriosamente a Venezia il 9 settembre. Il Poeta rimase folgorato dalla bellezza della città lagunare e scrisse a Barbara, perché lo raggiungesse, unendosi a quel quadro di somma armonia. La donna riuscì a trattenersi solo una notte, alloggiando nel poco dispendioso Beau Rivage, dove D’Annunzio era sulle spese dell’amico De Bosis. Il Poeta si trattenne a Venezia, vedendo la sua bella partire, dove avrebbe conosciuto «Dolciamara», con cui avrebbe gustato le ebbrezze della doppia infedeltà. Lasciò Venezia in ottobre, non preoccupandosi punto della nascita del terzogenito, Ugo Veniero.  Giunto a Roma, condusse i suoi rapporti colla Barbara; riprese i rapporti colle testate giornalistiche e sentì il bisogno di scrivere, grazie ad un rinnovato fervore poetico, condensando il nucleo poetico delle «Elegie romane» e nell’«Isotteo – La chimera», dominate dalla presenza di Barbara.

Aveva affittato un nuovo appartamento in Via del Tritone 201, dove viveva con la moglie, anche se il luogo dell’amplesso, da consumare con la Barbara, furono sempre considerate le stanze da letto di Via Borgognona.

L’anno 1887 si aggiudicò povero di creazione letteraria, intenso nelle collaborazioni giornalistiche, che lo disporranno per la creazione di un romanzo:

«Lavoro al romanzo, acutissimamente. Vorrei fare un libro sobrio, quasi secco, come stile, senza descrizione. Il dramma è di alta passione: i personaggi sono tre, due donne e un uomo, e tutti e tre eletti di mente e di spirito. Scrivendo io mi divoro il cuore».

Il 1888, si aprì sotto ottimi auspici: la coppia clandestina tornava a riunirsi in spregiudicate sessioni d’intenso erotismo, da cui Gabriele avrebbe tratto motivi, per rinverdire la sua vena poetica. La donna spesso doveva recarsi nella natia Bologna, lasciando in ambasce lo Scrittore, che le dedicava lettere piene di zampillante furore erotico. Purtroppo, anche le condizioni economiche assai precarie del Poeta furono un brutto ostacolo al trascorrere sereno dell’amoroso connubio. L’economia domestica del babbo, Francesco Paolo Rapagnetta D’Annunzio, attraversava difficili momenti, sicché le soffocanti richieste d’aiuto costrinsero Gabriele a trasferirsi a Pescara, al fine di porre possibili rimedi alla condizione paterna.

Il 20 marzo 1888, tornò a Roma e cominciò nuovamente ad incontrarsi colla Barbara presso l’alcova di Via Borgognona, fino al 9 aprile, quando dovette partecipare alle nozze della sorella, Elvira, celebrate a Pescara.

Tra il maggio ed il luglio, analizzò ne «L’armata d’Italia» il problema, allora dibattuto, della marina militare, denunciando la politica miope ministeriale insufficiente a coprire l’opera di ammodernamento dell’istituzione.

Nello stesso mese di maggio, si trasferì nuovamente a Pescara, per attendere alla composizione di un grande romanzo, abbandonando ogni collaborazione romana, aiutato economicamente dal pittore Francesco Paolo Michetti. La soluzione pescarese fu anche auspicata dalla scoperta della tresca amorosa da parte dei genitori della Barbara e dal marito.

Intanto nell’amata Pescara, D’Annunzio il 26 luglio attendeva a «Il piacere», assemblando dei brani composti in precedenza e dando spazio al racconto delle sue avventure amorose, mentre continuava la fitta corrispondenza colla sua musa. Durante l’elaborazione del romanzo, si astenne da ogni acrobazia erotica, abbandonandosi all’immaginazione ed ai sogni. A gennaio del 1889, il romanzo poteva dirsi concluso; nel mese appresso tornò a Roma, dopo aver inviato il manoscritto del lavoro al Treves.

Ripresero quindi gl’incontri quotidiani con la Barbara, con cui festeggiò il secondo anniversario in una «settimana d’amore» nel vicino comune di Albano. Essendo soli in vagone ferroviario, si abbandonarono alle folle gesta erotiche, che caratterizzavano lo spirito inquieto dei due amanti, come ricorderà Gabriele, tre mesi dopo all’amica, in una lettera. La particolare «settimana» fu puntualmente descritta nel «Trionfo della morte».

Originale de” Il piacere”

Il 2 maggio finalmente usciva nelle librerie d’Italia «Il piacere», che suscitò immediatamente un grande scandalo, per la sensualità espressa dal protagonista, Andrea Sperelli, perfetto organizzatore della propria vita come un’opera d’arte. Il libro fu prodromo della mutazione del costume borghese e dell’instaurarsi di un nuovo gusto letterario. Egli si era volto al decadentismo francese, stabilendo una relazione di verità tra le cose narrate. Per festeggiare l’indubbio successo, Gabriele si ritirò il 17 maggio, ancora una volta, ad Albano colla sua Barbara, la quale partì alla volta di alcune città lombarde il 27 giugno.

Intanto Gabriele propose al Treves il titolo di un nuovo romanzo, «L’invincibile», che sei anni sarebbe diventato «Il trionfo della morte»; il fallimento dell’operazione e la lontananza dalla sua musa causarono sfiducia e smarrimento nel Poeta. Intervenne allora il suo amico pittore, Michetti, che si recò a Roma, onde convincere la Barbara a trasferirsi nella Pescara, come riporterà nel «Libro segreto» (1935). Il 25 la coppia si ricompose in San Vito delle Portelle, in provincia di Chieti, in una casa vicino al mare e dispersa tra la natura. Le ebbrezze, gli amplessi, le sensazioni vissute furono puntualmente riferiti nel «Trionfo della morte», mentre qualcosa iniziava a mutare tra i due amanti: la noia si stava, un poco alla volta, introducendo all’interno del rapporto. Nei versi dell’elegia «Villa Chigi», il Poeta descrisse per bene il suo stato d’animo

Torbido, invincibile contro di lei, dall’ime

viscere mi sorgeva non so quale odio, moriva

ogni pietà di lei nella sazietà del cuore.

Nel mese di agosto, intanto, ricevette la prima parte del pagamento, derivata dalle vendite de «Il piacere», mentre s’industriava alla revisione dell’«Isotteo», primo tomo di una ristampa dell’«Isaotta Guttadauro», cui seguirà il secondo dal titolo «La chimera». I libri sarebbero stati stampati l’anno successivo.

Il 22 settembre, Barbara abbandonò il ritiro di San Vito per Roma, lasciando il Poeta intento alla scrittura del romanzo, mentre l’esercito italiano lo chiamava a prestar servizio, essendo scaduto il rinvio universitario e avendo compiuto i ventisette anni di vita. Avrebbe vissuto l’esperienza militare nel peggior modo possibile. Il 1 novembre iniziò il servizio; una tenue speranza di esser riformato la nutrì per un difetto di vista, ma fu dichiarato idoneo ed inquadrato nel Vo  squadrone del XIVo Reggimento di Cavalleggeri di Alessandria presso la caserma di Castro Pretorio in Roma.

Il 13 novembre, Barbara ricevette una lettera disperata da parte di Gabriele, preoccupato per l’antivaiolosa; tornò quindi immediatamente a Roma e, nei rari momenti di permesso, tornarono a riunirsi carnalmente in Via Borgognona.

Tra il 6 e l’8 febbraio, ottenne una licenza, per recarsi a Pescara dal babbo, ammalatosi di pleuropolmonite e così poté rimettere un poco di ordine nei conti paterni, sempre più disastrati. La licenza fu prolungata fino al 4 marzo, «per motivi di salute» e Gabriele ne approfittò, per recarsi a Roma e trascorrere giorni infuocati con la Barbara. Al rientro in caserma, il 5 marzo, accusò una neurastenia, che lo costrinse ad una degenza presso l’ospedale Celio per circa dieci giorni, accudito quotidianamente dalla sua musa.

Un mese dopo, scontò la convalescenza a Pescara, attendendo alla lettura dei grandi romanzieri russi.

Il 28 aprile tornò ancora a Roma e due giorni dopo fu nominato Caporale, mentre la Barbara, per ordine paterno, avrebbe riparato dalla sorella a Torino. Durante il mese di maggio, il Poeta tempestò di lettere la donna, ignaro del tragico atto, che la moglie, disperata per le troppe umiliazioni subite, stava realizzando il 6 giugno: il suicidio.

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