Le donne nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi: Marianna Brighenti

Pietro Giordani

Marianna Brighenti nacque l’8 ottobre 1808 a Massa Finalese, in provincia di Modena da Maria e Pietro Brighenti, collaboratore del Foscolo nell’edizione bolognese della «Vera storia di due amanti infelici». Marianna crebbe d’indole dolce, fra l’affetto genitoriale e gli agi garantiti dal babbo, Pietro, il quale, essendosi prodotto con successo anche quale editore musicale, iniziò all’arte lirica la figlia, Mariannina, definita da Pietro Giordani una ragazza piena di «grazia unita al senno, l’arte e l’intelligenza accoppiate a purezza di costumi e ad ingenuità».

Pietro Giordani indicò al Leopardi il nome dell’avvocato Brighenti, quale editore per le sue prime canzoni, ma il progetto sfumò per il deciso intervento di Monaldo, il quale si mostrò contrariato soprattutto verso quei componimenti giudicati negativamente, perché in simpatia ai liberali. Fu l’occasione per un sincero avvicinamento tra il giovane Poeta e l’editore, il quale seppe dei dolori di Giacomo di fronte a tale avvenimento. Scrisse a Monaldo e riuscì ad ottenere la pubblicazione de «Ad Angelo Mai», che sicuramente fu letta da Marianna. Ella, credente ed amante, appariva in contrasto con lo scetticismo di quel grande spirito, e si sarà emozionata di fronte alla maestà delle figure di Dante, Petrarca, Tasso, dell’Alfieri, rievocate con tanto entusiasmo. Probabilmente seppe delle sofferenze di Giacomo dai discorsi tra il babbo e il Giordani, provando compassione di fronte a quelle grida di dolore, alla voce desolata del Recanatese, che di fronte alla realtà orrenda, rimpiangeva le favole antiche, il potere dell’immaginazione.

Nel 1825, Giacomo si fermò a Bologna, diretto a Milano; dall’avvocato Brighenti probabilmente ricevette diverse proposte di lavoro; lo ammise in casa per la felice compagnia di Marianna e della sorella Anna. Egli scelse la cantante, che era nello splendore della gioventù; seria, appassionata nel suo canto, fu ammirata dal grande Poeta, il quale adorava la bellezza e sentiva profondamente le impressioni musicali. Spesso si accompagnava alla tavola di casa Brighenti quale prezioso ospite, discorrendo poi di letteratura con quell’arguzia acuta e talvolta pungente, che sarebbero state presto spuntate dalla noia e dal dolore. Primeggiava tra i commensali, mostrando la superiorità del suo spirito, che forse avrebbe accarezzato il cuore delle donne intelligenti, malgrado il non piacevole aspetto fisico ed il vestire dimesso. Marianna si accorse ben presto di essere preda degli occhi del giovane Poeta, ma il suo cuore batteva per altro uomo; ella provava una pietosa tenerezza ed un’ammirazione riverente per l’ingegno del Poeta, ma non si mostrò mai scortese, perché potesse destare un senso di dolcezza e di conforto allo sfortunato ammiratore. Molti anni più tardi, avrebbe rivelato a Paolina Leopardi la sua cara memoria per quell’affetto, di cui conservava una preziosa lettera d’amore, scrittale da Giacomo.

Tornato a Recanati, il Leopardi confessò alla Paolina la bontà dei Brighenti, informandola dell’ammirazione provata per Marianna, destando la curiosità della sorella, avida di particolari e commenti. Immaginò (non sbagliando) che un bel rapporto sarebbe potuto sbocciare tra le due donne; così, quando fu invalidato nello scrivere, colse l’occasione perché la Paolina entrasse in confidenza colla Marianna. La contessina Leopardi trovò, a poco a poco, una fedele amica, alla quale confidare i suoi intimi segreti, che sarebbero stati custoditi con gelosa premura.

Le capacità musicali della Marianna avrebbero determinato una fortunata carriera artistica, che cominciò nel 1829 col debutto nella «Semiramide» di Gioachino Rossini, malgrado le proteste della famiglia. Il successo rinvenuto presto raggiunse casa Leopardi e Giacomo si mostrò ben lieto, compiacendosene con la di lei madre e sorella. Sempre nell’autunno del 1829, la Brighenti cantò presso il Teatro di Corte di Modena nella «Zaira» di Alessandro Grandini, sostituendo l’indisposta protagonista. L’anno successivo, si esibì presso l’Imperiale e Real teatro dei Rinnovati di Siena nella «Giulietta e Romeo» di Nicola Vaccaj e «Gli arabi nelle Gallie» di Giovanni Pacini. Felice per i successi riportati, Marianna ambiva a diventare la sposa di un certo Mori, uomo colto ed assai amante delle belle arti; purtroppo il proposito non andò a buon fine. Grazie alla crescente popolarità, la Marianna vide crescere il numero dei corteggiatori, così come rivelava nelle sue lettere alla Paolina insieme alle delusioni patite. Ella fu in stretta amicizia col celebre Giovan Battista Rubini, che mai sfociò in amore.

Nel carnevale del 1830 sostenne la parte di Giulia nel «La Vestale» di Gaspare Spontini; quindi debuttò ne «Il barbiere di Siviglia» di Gioachino Rossini

Nel 1831, ricevuto il diploma dell’Accademia Filarmonica Bolognese, debuttò a Fermo ne «Il pirata» di Vincenzo Bellini, dove mostrò oltre la bellezza della voce e la perfetta intelligenza dell’artista. Le cronache dell’epoca riportarono degli applausi frenetici, che scoppiarono al termine delle sue arie.

Nei primi giorni dell’autunno del 1831, la Brighenti si esibì ad Ascoli per «Il pirata» di Vincenzo Bellini. Non legò coll’impresario, al quale avrebbe voluto chiedere la rescissione del contratto; il pubblico, invece, dimostratosi inizialmente freddo e scostante, fu sedotto dalla brava interprete e proruppe in acclamazioni sorprendenti per l’entusiasmo ad ogni suo pezzo.

La successiva esperienza romana fu invece motivo di profonde amarezze tanto da minare la sua costituzione piuttosto gracile, tantoché fu costretta a rinunciare all’impegno di Corfù, ritirandosi in Bologna.

Solo nel settembre 1832, sarebbe tornata a cantare ne «I normanni a Parigi» di Saverio Mercadante; nell’aprile del 1833 ad Arezzo partecipava all’apertura del Teatro Petrarca coll’«Anna Bolena» di Gaetano Donizetti e «La straniera» di Vincenzo Bellini. Il successo fu così clamoroso che fu accompagnata a casa in portantina, circondata dai coristi con torce accese e preceduta dalla banda.

Nel novembre ’33, la Brighenti cantò a Firenze l’«Anna Bolena» del Donizetti, protestandosi dispiaciuta per non aver potuto incontrare il grande Giacomo.

Nel mese successivo, cantò a Pisa ne «La straniera» di Vincenzo Bellini:

«Il cantare ed agire de la Brighenti non è effetto di altrui insegnamento, è creazione sua propria,» fu scritto allora.

Il Giordani, intanto, seguiva, seppur a distanza, la carriera del soprano, a cui scriveva nel 1834:

«Sai molto lieto a me quel giorno che vi rivedrò, e potrò ripetervi di voler esser sempre vostro amicissimo».

A Novara, cantò la «Norma» di Vincenzo Bellini, recensita dal il 4 febbraio 1835 dal «Censore universale dei teatri»:

 «Al suo apparire, tutto l’affollato uditorio proruppe m una strepitosa selva d’applausi. Ma quando si ascoltò poi l’eroica declamazione di quell’imponente primo recitativo [Sediziose voci…] ed il soavissimo canto di quella gentil cavatina [Casta diva…], per quanto fosse ancor viva in tutti la rimembranza dei già valutati pregi di questa virtuosa, d’ogni passata estimazione infinitamente maggiore si fece l’ammirazione presente. Chi vide all’apertura del Teatro Petrarca in Arezzo raffigurar la Brighenti il carattere dell’Anna Bolena, me l’aveva già dipinta con i più vivi e seducenti colori, gli stessi più sperimentati fra i suoi compagni ne parlavan allora con entusiasmo. Chi vede ora la stessa artista maggiormente abbellire di se stessa il bel teatro nuovo di Novara, per rappresentarvi quello di Norma, si mostra più trasportato ancora di quegli Aretini, che in materia di musica hanno un gusto finissimo».

Paolina Leopardi

Nonostante i vivi successi raccolti ed i guadagni meritati, la Brighenti venne meno alla sua promessa di aiutare anche i parenti più prossimi, sicché chiese alla Paolina un impiego per il babbo,  ma, nonostante l’impegno della contessina, l’azione non ebbe felice esito.

Nel 1835, di particolare rilievo fu l’esibizione al Teatro Carlo Felice di Genova nell’«Elisa e Claudio» di Saverio Mercadante.

Nel 1836, si trasferì a Lisbona, accompagnata dal babbo, per cantare nell’«Otello» di Rossini; si spostò quindi a Madrid, per esibirsi, riscuotendo un successo di pubblico sempre più crescente, ne «La straniera» di Vincenzo Bellini. Trionfò ne «La donna del lago» di Gioachino Rossini.

Il 1 luglio 1837, il cielo proruppe in un grido di dolore, che soffocò l’anima della giovane artista: Paolina in una lettera le annunciò la morte del grande Poeta:

«Oh! piangiamo insieme, amici miei, piangiamo insieme, che abbiamo perduto tutti il nostro fratello, il nostro amico, né lo rivedremo più in questo mondo, dopo tanta speranza, dopo tanto desiderio».  Marianna fu colpita profondamente per la scomparsa dello sfortunato amico.

Rientrata in Italia, si ritirò a Campiglio, in provincia di Modena, meditando di abbandonare la carriera artistica, progetto che avrebbe presto accantonato, al fine di sostenere economicamente la famiglia. Cantò un recital a Modena, l’8 dicembre 1839, mostrando, nonostante le indubbie prove di ammirazione, i primi cedimenti dell’organo vocale. Fu il suo canto finale.

Nella primavera del 1840, scrisse alla Paolina, per ricevere le ultime nuove, che accompagnavano la memoria di Giacomo; la contessina esaurì la gentile richiesta, avvisandola di non cedere facilmente alle pretese amorose di un forlivese:

«Stai in guardia più che puoi, e Ninì ti consoli e ti consigli, essa che ha la mente fredda e il cuore pieno di amore per te. Oh! non fidarti degli uomini, Marianna mia, non è questo tempo per anime come le nostre. Divagati, fa ritratti (ma non già il suo), allontana il pensiero di lui quanto puoi, e parti presto da Forlì; io voglio saperti consolata e désillusionée».

Nello stesso periodo, Marianna si ammalò ai bronchi, che avrebbe certificato l’abbandono della scena teatrale; pensò allora di dedicarsi all’insegnamento del canto, ma il progetto fu reso di difficile esecuzione a causa dei continui spostamenti domiciliari. Occupò il tempo nell’accudire l’ormai anziano babbo e nella coltivazione delle dotte amicizie, fra le quali quella del Giordani, il quale le avrebbe continuato a parlare di Giacomo.

Il 16 novembre 1843, morì la mamma, Maria; la figlia scrisse una breve biografia e la inviò all’amica Paolina.

Il tempo passava ed aumentavano le preoccupazioni per la salute e per le non più facili condizioni economiche. Spesse volte con la memoria rivisitava quel grande affetto che Giacomo maturò nel corso della loro amicizia e ne fece memoria, scrivendone a Paolina, che rispose:

«Non è possibile che si accresca l’affezione mia per te; ma se lo potesse, certo accadrebbe dopo che mi hai detto che il nostro Giacomo ti prediligeva. E già io me ne avvedeva dalle sue parole e non ricordo, ma forse avrò fatta a lui anch’io la domanda sacrementelle: ne eri innamorato?».

Nel 1846, Pietro Brighenti fu nominato giudice supplente da Pio IX a Forlì, ma dopo appena sette mesi, spirò assistito dalla figlia minore, Anna.

«Non puossi, – scrisse Marianna – né debbesi tacere de l’amorosa assistenza che essa [Anna] gli fece nei tre mesi della sua malattia, non che della forza d’animo che dimostrò nei giorno 2 agosto, dodici ore avanti la di lui morte, in cui reggendolo afflitto per non ricevere lettere dalla figlia assente (erano allora pressoché intercette le comunicazioni per la guerra tra Austriaci e Bolognesi), ritirossi un breve istante alla camera e vi rientrò con una lettera in mano, che figurò scritta dalla sorella e con l’angoscia più disperante nell’animo, ma a ciglio asciutto e con voce ferma la lesse al letto del moribondo e con questo gli ultimi istanti ancora della vita gli consolò».

Carlo Pepoli

Marianna riparò, per breve tempo, in casa del conte Pepoli quale istitutrice; quindi, con la sorella si stabilì in Modena, dove si dedicarono all’insegnamento privato, che all’inizio riscosse un sincero successo, ma, un poco alla volta, le allieve diminuirono, come confessò in una lettera a Paolina. Gli ultimi anni di vita li trascorse in condizioni economiche assai disagiate, tanto da dover pietire aiuti.

Anna morì l’11 aprile 1881 a settantacinque anni, e Marianna le sopravvisse sino al 31 gennaio 1883, tutta assorta nelle sue memorie, caratterizzate da tanti applausi, da molti pretendenti e dalla passione, che Giacomo provò per lei e di cui non volle farne memoria.

Purtroppo, la preziosa eredità, composta di preziose lettere autografe d’importanti personaggi del bel mondo culturale, fu dispersa.

Nell’ampio mondo leopardiano, si creò una delle rare creature femminili, per le quali, se pure non corrisposto, non fu vano l’amore di Giacomo Leopardi.

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