Gabriele D’Annunzio e Alessandra Carlotti di Rudinì: la fine

Alessandra Carlotti di Rudinì (1876 – 1931)

Alessandra De Rudini si era stabilita alla Capponcina, organizzando una vita domestica sontuosa, che avrebbe condotto all’inevitabile rovina economica il Poeta. Alla fine del giugno del 1904, il Gabriele tornò nel caro Abruzzo, dove ricevette accoglienze trionfali colla messa in scena presso il Teatro Marrucino di Chieti de «La figlia di Iorio». Il giorno 27, lo Scrittore tornava alla Capponcina e, dopo pochi giorni, la coppia si sarebbe trasferita presso Marina di Pisa, per passarvi l’estate in compagnia della figlia, Ciucciuzza. Gli giunse la notizia della morte di Giuseppe Treves, che non destò alcun rammarico nel Poeta. Durante l’estate fece riposare la penna, dedicandosi con la sua amante a trascorrere i pomeriggi galoppando lungo l’Arno.

Eleonora Duse (1858 – 1924)

Scrisse una lettera alla Duse, che soggiornava in Cadore, dove espresse i motivi dell’abbandono: sentiva in lui «un bisogno imperioso della vita violenta, della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell’allegrezza» insoddisfatto. Intendeva comunque proseguire il rapporto artistico, ma la Duse non accettò.

In ottobre, Cicciuzza fu rimandata in collegio, a seguito delle continue lamentele della piccola, il D’Annunzio progettò di tenerla definitivamente in casa. Pressato dalle necessità economiche, tornò a lavorare, intrecciando difficili rapporti con l’editore Emilio Treves, verso cui soffriva delle pendenze. La nascita di nuova casa editrice in Milano, la Libreria Editrice Lombarda introdusse il D’Annunzio a proporre l’assorbimento del suo debito verso Treves. Incaricò il Praga di promuoversi quale artefice dell’accordo e di comunicare al suo editore che presto gli avrebbe fornito il testo di due nuove tragedie a parziale garanzia di debiti pregressi: «La fiaccola sotto il moggio» e «La Nave».

Suzanne Desprès (1876 – 1951)

All’inizio del 1905, corresse il testo francese della «Figlia di Iorio», che iniziò ad esser pubblicata sull’Illustration, mentre sulle scene dell’Oeuvre, la tragedia era interpretata da Suzanne Desprès.

Maria Hardouin di Gallese (1864 – 1954)

Nel mese di febbraio, ricevette una citazione dalla moglie, Maria di Gallese, per inadempienze economiche. Spinto da urgenti questioni finanziarie, il 3 marzo consegnò all’editore il testo de «La fiaccola sotto il moggio», contattando Mario Fumagalli, perché rappresentasse colla sua compagnia la nuova tragedia. Si trasferì a Milano, per incontrare la marchesa Luisa Casati Stampa, modella preferita – oltretutto – di Giovanni Boldini, essendo l’Alessandra rimasta alla Capponcina.

La sera del 27 marzo 1905, «La fiaccola sotto il moggio» fu rappresentata presso il Teatro Manzoni di Milano con esito piuttosto freddo da parte del pubblico presente in sala e della critica. L’indomani, Il secolo annotò che la tragedia «non era altro se non la rapida versificazione d’una azione qualsiasi, senza interesse, messa insieme con una singolare superficialità di concepimento». Il D’Annunzio si consolò con la sua amica marchesa, stravagante regina della scena mondana milanese (allevava un boa in casa, che qualche volta, si metteva al collo), fin quando l’Alessandra se ne allarmò, muovendosi dalla Capponcina, per riportare «a casa» il Gabriele. Tornato nella sua dimora, continuò lo svolgimento de «La Nave», mentre l’Alessandra cadeva ammalata per un tumore ovarico. Il Poeta ne dispose l’immediato ricovero presso Villa Natalia di Firenze, assistendola amorevolmente, cosicché da annunciare il giorno dell’intervento a moltissime persone: una nuova trovata pubblicitaria! Il Treves si recò in clinica il 6 giugno ed, incontrando lo Scrittore, ricevette la promessa di nuove opere, al fine di saldare i sempre più cresciuti debiti. Autorizzava la pubblicazione in lingua francese del «Laus vitae» e soprintendeva alle prove de «La figlia di Iorio» presso il Teatro alla Scala di Milano, posta in musica dal maestro Alberto Franchetti.

Purtroppo l’Alessandra dovette subire un nuovo intervento ed, essendosi verificato un miglioramento, la coppia rientrò alla Capponcina. Il 28 giugno nuovo allarme e nuova ipotesi operatoria, che finalmente avrebbe avuto esito positivo, tantoché il 10 settembre Gabriele sarebbe potuto partire per Milano, dove avrebbe proseguito per la Svizzera, per incontrare l’avvocato Giraud, al fine di ottenere il divorzio dalla Maria Gallese. La stampa, sempre ben informata, civettò sul viaggio, indicando la volontà del Poeta di cambiar cittadinanza e poter così ottenere la separazione; la Matilde Serao commentò acidamente: «Il nostro D’Annunzio naturalizzato svizzero, per di più nel Cantone di Friburgo! Capite? Il paese dei formaggi!». Intanto Maria di Gallese dichiarò che le pratiche divorzistiche erano state avviate per sua volontà; il Giraud confermò, aggiungendo che Gabriele si era recato a Friburgo, per avviare le pratiche per la residenza. Ricevette risposta negative dalle autorità elvetiche.

Rientrò il 20 settembre a Settignano, scoprendo, con viva sorpresa, la dipendenza dalla morfina di Alessandra: «La morfina, il mostro vorace, aveva fatto una nuova vittima», scriverà due anni più tardi nel «Solus ad solam».

Un mese dopo, inviò al Treves il Proemio alle «Prose», che furono drasticamente censurate dall’editore, meritandosi il commento caustico dell’Autore: «Fra cinquant’anni sarò considerato come un educatore. Per ora mi rassegno ad esser considerato come un corruttore». All’editore milanese spedì una prima parte de «La Nave», che apparve sul primo numero de Il Rinascimento, mentre il 4 dicembre usciva la nuova edizione delle «Elegie romane», con la traduzione in latino a fronte di Cesare Da Titta.

Sempre più indebitato, chiese soldi in prestito – sicuro che non li avrebbe mai restituiti – a tutti gli amici, e soprattutto ai suoi editori in compenso di futuri lavori letterari. A causa della crisi creativa, riempiva la cronaca mondana, piuttosto che la dimensione letteraria.

Nei primi giorni del 1906, scrisse al Treves, chiedendogli diecimila lire d’anticipo, offrendo in garanzia i ricavati futuri della versione musicale de «La figlia di Iorio». Essendo sempre più in ristrettezze economiche, provò ad avviare speculazioni, attività industriali, senza alcun successo; allora tornò al sicuro campo letterario, stendendo il nuovo dramma: «Più che l’amore» e contemporaneamente la commedia «I pretendenti». Nel contempo, dedicava all’editore Antongini la «Vita di Filippo Strozzi», che colla precedente «Vita di Cola» avrebbe formato un volume. In verità il 1906 fu caratterizzato da molti progetti sfumati: «I sacrifici umani», una commedia: «I pretendenti»; varie annotazioni per la tragedia «Sigismondo» ed «Amaranta», che sarebbe diventata (l’unica davvero terminata) «Forse che si forse che no».

Il 15 marzo si recò a Roma, dove avrebbe incontrato la contessa Giuseppina Mancini; il D’Annunzio pensò che fosse allora giunto il momento, per terminare la relazione con la De Rudinì.

Alberto Franchetti (1860 – 1942)

Il 29 marzo andò in scena presso il Teatro alla Scala di Milano la versione musicale de «La figlia di Iorio» del maestro Alberto Franchetti con esito poco soddisfacente.

Le molteplici evasioni, che si concedeva da tempo, la nuova fiamma milanese, gl’incontri fugaci con la Casati Stampa, spinsero in aprile Gabriele a trasferirsi nella sua villa di Garda, dove fu raggiunto da molte lettere della Rudinì, che cercava di riportarlo a Settignano.

Giuseppina «Giusini» Mancini si stava avvicinando alla sua vita; graziosa, elegante, colta e raffinata, aveva immediatamente attratto il Poeta, colto da furiosa passione. Era sposa del conte Lorenzo Mancini, produttore di vino, piuttosto distratto dai doveri coniugali. La conquista non fu facile, perché la donna, religiosissima, mostrava scrupoli morali, che il Poeta faticò, e non poco, ad eliminare.

Gli giunsero notizie drammatiche della Libreria Editrice Lombarda, che agiva in acque minacciosissime anche a causa dei continui prestiti (mai restituiti) del Poeta, il quale avrebbe tentato di unire la Libreria alla Treves attraverso la Bemporad ottimizzando i debiti. Emilio Treves si chiamò fuori immediatamente e l’azione sfumò. Al fine di trovare nuove fonti di guadagno, il Gabriele pensò all’industria profumiera, lanciando sul mercato l’«Acqua Nunzia», un altro clamoroso fallimento.

Trascorse l’estate con la Rudinì a Pietrasanta, mentre la Mancini era a Salsomaggiore. All’inizio di luglio, ogni scrupolo morale cadde tramortito ed avvenne il primo contatto tra i due, registrato in una lettera del Gabriele indirizzato alla contessa, in cui annotava dell’incontro tra i due corpi, non specificando altro.

A Pietrasanta, fu raggiunto anche dai figli, ma ciò non gl’impedì di lavorare con profitto al dramma «Più che l’amore», in cui avrebbe giustificato un delitto, compiuto dal protagonista, il superuomo, al fine di realizzare il suo sogno: l’esploratore.

Giuseppe Giacosa (1847 – 1906)

A settembre, gli giunse la notizia della morte di Giuseppe Giacosa ed il D’Annunzio vergò «Della malattia e dell’arte della musica», dimenticando l’avversità, che il librettista del Puccini aveva nutrito nei suoi riguardi. Gabriele si trasferì alla Versiliana, per sedurre la contessa Lida Dzieduszycki, giovanissima e bellissima moglie di un conte ungherese. Non ebbe successo.

Ermete Zacconi (1857 – 1948)

Il 29 ottobre 1906 andò in scena, presso il Teatro Costanzi di Roma, «Più che l’amore» per la compagnia di Ermete Zacconi: un insuccesso clamoroso da suscitare così tanta eco sulla stampa, che ottenne successivamente un gran successo di pubblico, incuriosito da tanto clamore.

In novembre, la Rudinì si trasferì a Roma, al fine di trovare un accordo con la famiglia d’origine, per non gravare sulla stremata condizione economica di Gabriele. Avvicinandosi il Natale, il Poeta spedì alla Mancini l’«Acqua Nunzia», ma trascorse le feste con l’Alessandra. Quindi tornò in Toscana, senza mai rispondere alle tante lettere della Rudinì. Il 3 febbraio 1907, si decise a scriverle: «Cara piccola, io sono in mezzo a mille angustie. Quest’anno sarà per me un anno di martirio. Nella settimana prossima verrò a Roma per vederti e per risolvere con te quel che sia meglio fare in così dure condizioni».

Il destino di Alessandra era ormai segnato, perché la Mancini aveva incontrato alla Capponcina Gabriele: l’«ultima felicità».

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