Breve commento dell’idillio «Alla luna» di Giacomo Leopardi

Presso il mondo greco, l’idillio era un componimento poetico di piccole dimensioni, caratterizzato dalla descrizione dalla natura bucolica ed agreste.

Nella modernità, fu salvo il concetto greco, che si compì colla rappresentazione della vita campestre, quale luogo di contemplazione, di riflessione lontani dal caos quotidiano.

Il Leopardi pubblicò inizialmente (1825 – 26) cinque poesie di carattere contemplativo, («L’infinito», «La sera del dì di festa», «Alla luna», «Il sogno», «La vita solitaria»), definiti dalla critica «piccoli idilli», a differenza dei grandi idilli, che scriverà nella maturità. Essi avrebbero descritto situazioni interiori personali, in cui sarebbe prevalso l’aspetto intimo, in un magico, incantato solipsismo, distaccandosi quindi dalla terminazione greca. Si evidenzia l’accostamento tra parole ricercate a quelle di maggior senso comune e, soprattutto, la chiara esposizione in cui la memoria sembra lo sprone alla scrittura. Ed anche quando il momento ricordato è spiacevole, il ricordo è caro alla nostra giovanile memoria.

O graziosa luna, io mi rammento

Che, or volge l’anno, sovra questo colle

Io venia pien d’angoscia a rimirarti:

E tu pendevi allor su quella selva

Siccome or fai; che tutta la rischiari.

Ma nebuloso e tremolo dal pianto

Che mi sorgeva sul ciglio, alle mie luci

Il tuo volto apparia, che travagliosa

Era mia vita; ed è, né cangia stile,

O mia diletta luna. E pur mi giova

La ricordanza, e il noverar l’etate

Del mio dolore. Oh come grato occorre

Nel tempo giovanil, quando ancor lungo

La speme e breve ha la memoria il corso,

Il rimembrar delle passate cose,

Ancor che triste, e che l’affanno duri!

Il ricordo, il passato, una gentile emozione sembra cogliere l’animo del Poeta nel rammentare quando, un anno prima, volgeva i suoi occhi alla luna, che emanava la sua luce notturna su quel colle, dove, in preda ad uno straziante stato d’animo, il Poeta veniva, al fine di osservarla. L’uomo che volge lo sguardo al cielo, rintracciando tra i nembi lo spirito di Urano, così lontano dalla telluricità di Gea, che tende a trattenere i suoi figli, impedendogli così di spiccare il volo.

E dopo tanto tempo, Giacomo sembra ritrovare la stessa atmosfera; infatti, nella stessa posizione trova la luna pendere sulla selva, attenta a rischiararla, donandole quella luce, che non acceca, ma che invita alla riflessione, alla calma, alla contemplazione, così lontano dai rumori della quotidianità.

In quest’onda di calma e di quiete, gli stanchi occhi del Poeta non sembrano trarre alcun temporaneo giovamento, poiché le sue luci erano solcate dal pianto, tanto che l’immagine della luna ne risultasse sfocata. Cogliamo l’assonanza tra la luna, che domina le acque, ed il pianto, acqua che sembra sfuggire al suo controllo!

Il Poeta piangeva la disperazione della sua vita, piena di travagli ed angosce; non capito da alcuno, alla ricerca della giusta e meritata gloria, che mai sarebbe arrivata. Dopo un anno, ha ritrovato la luna nella stessa posizione di tanto tempo prima: immutata, come la sua vita, che, nonostante il trascorrere del tempo, non accennava a cambiare.

Eppure quel ricordo, così disperato, giova al Giacomo, il quale sembrerebbe contare gli anni della sofferenza. Come immaginare giovamento nell’evocare i dolorosi ricordi? Sono pezzi di noi stessi, sono pezzi della nostra vita, che dobbiamo stringere tra le mani, perché appartengono solo a noi e mai ce ne libereremo, voleranno con noi in cielo.

Quando si è giovani si vivono mille speranze, si sogna ad occhi aperti di vivere una vita splendida e lontana soprattutto dal dolore, dalle inevitabili sconfitte e dalle conseguenti paure. Si ha la forza anche di reagire alle inevitabili difficoltà, poiché si è ancor vissuto brevemente ed il carico quindi è leggero da portare sulle spalle, anche quando l’affanno ed il dolore, per la prima volta, entrano nella nostra vita, perché si conviene sulla speranza che qualcosa possa cambiare.

Per il Poeta nulla cambiò.

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