«Contemplazione della morte» di Gabriele D’Annunzio

Tra il 1 ed il 12 giugno 1911 si tenne un’asta pubblica degli oggetti sequestrati alla Capponcina; i libri del Poeta furono salvati dagli amici Francesco Paolo Michetti e Marco Praga, mentre Giovanni Del Guzzo, l’impresario delle Americhe, ricevette i manoscritti ed un’automobile, raccontando poi tutta la drammatica storia del suo incontro col D’Annunzio nel «Pignus ac monumentum amoris». La Capponcina fu venduta e così commentò il 31 maggio 1911 a Gabriele a Luigi Albertini:

Marco Oraga (1862 – 1929)

«Ecco una sera solenne, di meditazione e di ricapitolazione. Mi sembra di udire le grida delle cose, attraverso la distanza. E’ l’ultimo strazio».

Nella «Contemplazione della morte» avrebbe, a ricordo, scritto:

«Un branco di scimmie calpestò e distrusse… quel che forse, o prima o poi, avrei distrutto io medesimo in un’ora, per fare largo intorno al mio pensiero impaziente… Avendo perduto qualche bel legno tarlato, qualche bel vetro incrinato, qualche ben ferro arrugginito, entrai nel possesso di questa più bella verità: essere necessario bruciare e smantellare i vecchi tetti, sotto i quali abitammo in carne o in ispirito».

Dopo l’insuccesso del Saint Sébastien e la spoliazione della Capponcina, il Poeta ricevette – sintomo di possibile rinascita – la licenza, da parte di Arturo Ambrosio, di sei soggetti cinematografici tratti da altrettante opere, predisposti al cinema dallo stesso D’Annunzio, il quale restò a Parigi, rimandando il rientro in Patria, al fine di rimaner lontano dai guai familiari. Alla fine del mese di giugno, il Gabriele raggiunse Arcachon, accompagnato da Natalia, e da una nuova domestica, Emilie Mazoyer, che gli sarebbe rimasta accanto fino all’ultimo. Lo chalet Saint Dominique, precedentemente abitato dalla Romaine Brooks, fu presto trasformato in una residenza dannunziana, anche se con meno evidente sfarzo della Capponcina. Il D’Annunzio lavorò in una stanza d’angolo, da cui vedeva il mare, in un silenzio importante ed atto alla creazione. Aveva accanto a sé la Natalia e la nuova governante, Emilie, che pensavano a soddisfare i suoi desideri sessuali.

Iniziò a collaborare al Corriere della sera, scrivendo ventiquattro articoli l’anno, raccolti successivamente nei due tomi delle «Faville del maglio»; e scrisse la prefazione ad una Divina Commedia, pubblicata dall’editore Leo Olschki.

Affidò il compito di redigere le sceneggiature al fidato scrittore Augusto Ferraris, che, tra il 1911 ed il 1912, consegnò le stesure de «La fiaccola sotto il moggio», «La Gioconda», «La figlia di Iorio», «La Nave».

La Mazoyer lasciò un diario, dove trascrisse le follie amorose vissute col Poeta, notando la bianchezza e la delicatezza femminile del corpo di Gabriele. Per Natalia aveva riservato la «camera verde», suscitando le gelosie irrefrenabili della Emilie.

Il 29 luglio, Alessandra Di Rudinì cercò di contattare il Poeta, attraverso Annibale Tenneroni, al fine di consegnarli un manoscritto; la donna era ormai prossima all’ingresso in convento. Fu forse l’ultimo sussulto di vita, che non ebbe conseguenze, e così abbandonò la vita, i due figli e si ritirò dietro le grate, mentre Gabriele continuava ad alternare Natalia ed Emilie, per la soddisfazione dei suoi desideri erotici.

Giovanni Giolitti (1842 – 1928)

La situazione politica italiana intanto guardava con interesse al Mediterraneo, giudicato quale «quarta sponda», nei cui Paesi l’Italia era penetrata economicamente. I Nazionalisti promossero la guerra contro la Tripolitania, dominata dalla Turchia e così il Presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, spinto anche da un’opinione pubblica favorevole alla guerra, il 28 settembre 1911, fu consegnato al governo turco un ultimatum di ventiquattro ore, con cui il Governo italiano avrebbe richiesto il via libera all’occupazione della Tripolitania e della Cirenaica. L’ultimatum fu chiaramente respinto e guerra fu. Il 5 ottobre, i nostri marinai sbarcarono a Tripoli al comando del capitano Umberto Cagni; nelle piazze italiane si cantò «Tripoli, bel suol d’amore».

Emilio Treves (1834 – 1916)

Gabriele, che aveva promesso un romanzo all’editore Treves, interruppe la stesura, per comporre un’«ode» tripolina, che il Corriere avrebbe pubblicato l’8 ottobre: la «Canzone d’oltremare», con cui avrebbe significato la mobilitazione del suo spirito patriottico. L’ode non fu affatto gradita da Benedetto Croce, che giudicò deprimente il godere espresso per la strage di uomini. Il D’Annunzio ne approfittò, per chiedere un aumento all’Albertini del corrisposto in cambio di dieci odi ed un anticipo al Treves, che le avrebbe pubblicate in un volume.

Arrivò a fargli visita il figlio Mario, che il Poeta allogò in un piccolo albergo in compagnia del segretario, Antongini, ricevendolo solo nei ritagli di tempo. Natalia partecipava con entusiasmo alla nuova aria patriottica, che si respirava nello chalet e quando si ritirava in Parigi, Emilie era pronta a prenderne il posto.

Le odi, intanto, coglievano successo verso il pubblico, nonostante l’ostinata ricercatezza dei termini, che costringevano necessario un corredo di note.

Intanto, la guerra procedeva a rilento, nonostante l’entusiasmo dell’opinione pubblica; il 5 novembre 1911, Giolitti annunciò l’annessione della Libia, anche se le operazioni fossero ancora in corso e lontane dalla conclusione.

La «canzoni» per il Corriere andarono di pari passo colla lunghezza della guerra, poiché il Poeta necessitava sempre di grandi somme di danaro, tanto da iniziare, già dal mese di ottobre, a collaborare con i giornali dell’editore americano William Randolph Hearst. Continuava ad avere contatti con Pierre Lafitte, che avrebbe desiderato ricevere l’esclusiva per la pubblicazione del nuovo romanzo del D’Annunzio, secondo l’Antongini, «L’uomo che rubò la Gioconda», sulla storia reale del furto, avvenuto il 23 agosto del 1911 ad opera di Vincenzo Peruggia, il quale il 4 settembre si sarebbe presentato in casa del Poeta, al fine di offrirgli in custodia il prezioso dipinto. Sull’ABC Magazine, apparve uno scritto di Charles Chassé, nel quale si accusava lo Scrittore di essere il mandante; qualche anno dopo, il Poeta avrebbe scritto nel «Libro ascetico»:

«E non è da credere che il sorriso si sia rifugiato nel Museo del Louvre o altrove. Non è quello famoso della Gioconda che fu da me restituita per sazietà e fastidio, come tanti sanno e come tanti temono di approfondire».

Solo storie senza alcuna prova, pubblicizzate dal segretario Antongini, forse per rendere ancor più avventurosa la già avventurosa vita del Poeta.

La guerra languiva, poiché i Turchi resistevano ed intanto in alcuni Paesi europei iniziò a serpeggiare, come nell’opinione pubblica italiana, del malumore. Il Governo fu deciso ad una spedizione nei Dardanelli, per colpire al cuore il nemico e il D’Annunzio ne approfittò scrivendo una nuova ode, «La Canzone dei Dardanelli», che sostò sulla scrivania del direttore Albertini, poiché il contenuto superava la linea moderata decisa dal giornale sui fatti di guerra. Alla fine, il giornale ritenne il lavoro troppo audace, vietandone la pubblicazione, ma pagando lo stesso lo Scrittore, che se ne rifece col Treves, al quale consegnò, tramite l’Antongini, una nuova ode, dedicata all’ammiraglio Umberto Cagni di Blu Meliana, mentre «La Canzone dei Dardanelli» non trovò spazio nel volume «Canzoni d’Oltremare», per le invettive contro l’Austria.

Il 1912, si aprì sotto ottimi auspici per lo Scrittore, il quale firmò un contratto con l’editore Pierre Lafitte per un romanzo in francese, forse «L’homme qui a volé la Joconde», che gli maturò immediatamente venticinquemila lire. Il lavoro sarebbe poi stato edito dal Corriere della sera, per diecimila lire, e dal Treves per altre quindicimila lire. Intanto il Signor Emilio consigliava al Poeta di modificare alcuni versi delle odi, che sarebbero state pubblicate nel volume le «Canzoni d’oltremare», ma ricevette un fermo rifiuto; forse il D’Annunzio credette approfittare della mancata uscita, per creare un’occasione di scandalo e pubblicità sulla stampa gratuita.

I rapporti tra Austria ed Italia non volgevano al sereno, essendo gli austriaci assai critici per le pretese espansionistiche in Africa del Governo italiano; diplomazia consigliava di non rinfocolare la polemica con delle Odi dichiaratamente antiaustriache.

Il Treves stampò il libro in sole cento copie, «Merope» ed il sequestro avvenne direttamente in tipografia. D’Annunzio inveì contro il capo di Governo, Giolitti, mentre la stampa tacque l’evento, contraddicendo ogni previsione del Poeta.

Il 26 gennaio uscì l’edizione purgata di «Merope» con una nota firmata dall’Autore:

«Questa Canzone della Patria delusa fu mutilata da mano poliziesca, per ordine del cavaliere Giovanni Giolitti capo del Governo d’Italia, il dì 24 gennaio 1912. G. d’A.».

Ildebrando Pizzetti (1880 – 1968)

Il Gabriele si trasferì a Parigi, accompagnato dalla Natalia, nel mentre era occupato alla revisione del suo corpus poetico in lingua francese e nella riduzione musicale della «Fedra» del Maestro Ildebrando Pizzetti, il quale tentava, inutilmente da molto tempo, di parlare col Poeta. Quando seppe che lo Scrittore soggiornava ad Arcachon, si trasferì e finalmente poté discutere con il Gabriele. Dopo aver ascoltato le musiche, composte dal Maestro, l’Intellettuale ricevette la visita del vecchio editore, Angelo Sommaruga, il quale propose al Poeta di scrivere di proprio pugno, su un certo numero d’esemplari della «Merope» i dodici versi censurati. Forse per le eccessive pretese del Gabriele, l’affare non si concluse.

In quei giorni, il D’Annunzio firmò un nuovo contratto coll’editore Renzo Sonzogno per la «Parisina», libretto, in precedenza, rifiutato da Giacomo Puccini. L’8 marzo spedì in Italia l’intero primo atto e, nel mese di maggio, completò l’intero libretto.

Gli assillanti problemi economici, intanto, tornavano prepotentemente nella vita del Poeta, costretto alla collaborazione col Corriere, avviando il tema di un romanzo: «Violante dalla bella voce».

Giovanni Pascoli (1850 – 1912)

Il 6 aprile 1912, giunse la notizia della morte di Giovanni Pascoli e dell’anziano proprietario della villa di Arcachon, Adolphe Bermond, dove alloggiava il Gabriele, il quale si sentì assai turbato dal duplice funesto evento, spedendo diversi articoli alla stampa italiana a commento.

Il 7 aprile 1912, iniziò la prima prosa della «Contemplazione della morte», in cui celebrò la scomparsa dei due amici, unendoli nell’ultimo abbraccio, spedendola al Corriere per la pubblicazione a puntate. Colla morte del Pascoli, si liberò la prestigiosa cattedra in Bologna, il Consiglio accademico interpellò il D’Annunzio, che declinò.

Pietro Mascagni (1863 – 1945)

Intanto, procedeva la stesura della «Parisina», tragedia in versi da porre in musica ed in stampa ed ai quattro capitoli della «Contemplazione della morte», destinata al Treves. Il 29 aprile, si recò a Parigi, per incontrare Renzo Sonzogno ed il musicista Pietro Mascagni, ai quali lesse la «Parisina» terminata. I giornali italiani parlarono dell’evento, aggiungendo anche dalla firma di un contratto, che avrebbe legato il Poeta all’editore Ricordi per la «Francesca da Rimini» destinata al Maestro Riccardo Zandonai.

Tornato ad Arcachon, stese la prefazione di diciotto pagine per la «Contemplazione della morte», che fu data alle stampe il 5 giugno 1912.

Lascia un commento

search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close