Dante: l’incontro con Beatrice

Dante compì il percorso educativo, che prevedeva lo studio della filosofia, della teologia, dell’astrologia, dell’aritmetica e della geometria.

Coltivò anche il disegno, siccome egli dice nella «Vita Nova», volle ricordare in un ritratto la morte di Beatrice. Nell’XI Canto del «Purgatorio», elogia i celebri miniatori Oderisi da Gubbio e Franco Bolognese; si legò a potente amicizia col Giotto, che lo ritrasse, ancor giovane, nella Cappella del Potestà nel Palazzo del Bargello di Firenze. Si dilettò colla musica, come asserì il Boccaccio, e forse ebbe come insegnante quel Casella, che incontra ai piedi del monte del Purgatorio. Il Bruni affermò che fosse un valente calligrafo:

«Fu ancora Dante scrittore perfetto, ed era la lettera sua magra e lunga e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune epistole di sua propria mano scritte».

All’età di diciotto anni, compose il suo primo sonetto:

A ciascun’ alma presa e gentil core1;

frutto di un visita, che compì il primo maggio 1274 in casa di Folco Portinari, condotto dal babbo, in occasione della festa di primavera, che organizzava il padrone di casa per parenti ed amici. Fu la prima volta, che vide la Beatrice, di otto anni, figlia del Portinari, da cui fu piacevolmente colpito tanto da nutrire la sua prima passione d’amore. Trascorsi nove anni, la rivide tra due gentildonne; la riconobbe e la salutò, essendone ricambiato. Fu così felice che, ritiratosi nella sua camera, continuò a pensare al dolce viso della fanciulla. Fu colpito da un sonno soave, durante il quale ebbe una visione, che raccolse, al risveglio, in un sonetto, indirizzato ai Fedeli d’amore, perché gli fornissero risposta in proposito.

Giovanni Boccaccio (1313 – 1375)

Scrisse, a proposito dell’innamoramento del Poeta, il Boccaccio nella «Vita di Dante»:

«Nel tempo nel quale la dolcezza del cielo riveste di suoi ornamenti la terra, e tutta per la varietà de’ fiori, mescolati tra le verdi frondi, la fa ridente, era usanza nella nostra città e degli uomini e delle donne nelle loro contrade, ciascuno in distinte compagnie, festeggiare. Per la qual cosa, infra gli altri, per avventura Folco Portinari, uomo assai orrevole in quei tempi tra’ cittadini, il primo dì di maggio aveva i circustanti vicini raccolti nella propria casa a festeggiare: infra li quali era il sopradetto Alighieri, il quale, siccome i fanciulli piccioli, e spezialmente a’ luoghi festevoli, sogliono li padri seguitare. Dante, il cui nono anno non era ancora finito, seguitato aveva. Avvenne, che quivi mescolato tra gli altri della sua etade, de’ quali così maschi come femmine erano molti nella casa del festeggiante, servite le prime mense, di ciò che la sua piccola età poteva operare puerilmente si diede con gli altri si a trastullare. Era infra la turba de’ giovanetti una figliuola del sopradetto Folco, il cui nome era Bice (comecché egli sempre dal suo primitivo nome, cioè Beatrice, la nominasse), la cui età era forse d’otto anni; assai leggiadretta e bella secondo la sua fanciullezza, e ne’ suoi atti gentilesca e piacevole molto, con costumi e con parole assai più gravi e modeste, che ’l suo picciolo tempo non richiedeva: e oltre a questo aveva le fattezze del volto dilicate molto e ottimamente disposte, e piene, oltre alla bellezza, di tanta onesta vaghezza, che quasi un’angioletta era reputata da molti. Costei adunque tale quale io la disegno, o forse assai più bella, apparve in questa festa, non credo primamente, ma prima possente ad innamorare gli occhi del nostro Dante: il quale ancoraché fanciullo fosse, con tanta affezione la bella immagine di lei ricevette nel cuore, che da quel giorno innanzi mai, mentreché visse, non se ne dipartì. Quale ora questa si fosse niuno il sa, ma o conformità di complessione o di costumi, o speziale influenza del cielo che in ciò operasse, o siccome noi per esperienza veggiamo nelle feste, per la dolcezza de’ suoni, per la generale allegrezza, por la delicatezza de’ cibi e de’ vini, gli animi eziandio degli uomini maturi, non che de’ giovinetti, ampliarsi e divenir atti a poter leggiermente esser presi da qualunque cosa che piace, è certo questo esserne divenuto, cioè Dante nella sua pargoletta età d’amore ferventissimo servidore. Ma lasciando stare de’ puerili accidenti, dico che con l’età multiplicarono le amorose fiamme in tanto, che niun’altra cosa gli era piacere, riposo, o conforto, se non il vedere costei. Per la qual cosa ogni altro affare lasciandone, sollecitissimo andava là, dovunque potea credere vederla, quasi del viso e degli occhi di lei dovesse attignere ogni suo bene e intera consolazione2».

Leonardo Bruni (1370 – 1444)

Ulteriore conferma fu tracciata da Leonardo Bruni, secondo cui l’Alighieri «fu usante in giovinezza sua con giovani innamorati, ed egli ancora di simile passione occupato, non per libidine, ma per gentilezza di cuore; e ne’ suoi teneri anni versi d’amore a scrivere cominciò, come si può vedere in una sua operetta volgare, che si chiama la Vita Nuova3».

E proprio nella «Vita Nuova», che Dante scrisse nel 1292, all’età di 27 anni, due anni dopo la morte dell’amata, racconta l’origine della sua passione:

«Nove fiate già appresso al mio nascimento era tornato lo cielo della luce quasi ad un medesimo punto, quanto alla sua propria girazione, quando alli miei occhi apparve prima la gloriosa donna della mia mente, la quale fu da molti chiamata Beatrice, i quali non sapeano che si chiamare. Ella era già in questa vita stata tanto che nel suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente delle dodici parti l’una d’un grado sì che quasi dal principio del suo anno non apparve a me, ed io la vidi quasi alla fine del mio nono anno. Ella apparvemi vestita di nobilissimo colore, umile ed onesto, sanguigno, cinta ed ornata alla guisa che alla sua giovanissima etade si convenia. In quel punto dico veracemente che io spirito della vita, lo quale dimora nella segretissima camera del cuore, cominciò a tremare si fortemente che apparia ne’ menomi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole: Ecce Deus fortior me, qui veniens dominabitur mihi. In quel punto lo spirito animale, il quale dimora nell’alta camera, nella quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente allo spirito del viso, disse queste parole: Apparuit beatitudo vestra. In quel punto lo spirito naturale, il quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: Heu miser! quia frequenter impeditus ero deinceps. D’allora innanzi dico che Amore signoreggiò l’anima mia, la quale fu sì tosto a lui disposata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria, per la virtù che gli dava la mia immaginazione, che mi convenia fare compiutamente tutti i suoi piaceri.

«Poiché furono passati tanti dì, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di questa gentilissima, nell’ultimo di questi dì avvenne, che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo in mezzo di due gentili donne, le quali erano di più lunga etade, e, passando per una via, volse gli occhi verso quella parte, ov’io era molto pauroso; e per la sua ineflabile cortesia, la quale è ora meritata nel grande secolo, mi salutò virtuosamente tanto, che mi parve allora vedere tutti i termini della beatitudine E perocché quella fu la prima volta che le sue parole vennero a’ miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partii dalle genti. E ricorso al solingo luogo d’una mia camera, puosimi a pensare di questa cortesissima; e pensando di lei, mi sopraggiunse un soave sonno, nel quale m’apparve una mirabil visione. E pensando io a ciò che m’era apparito, proposi di farlo sentire a molti, i quali erano famosi trovatori in quel tempo, E proposi di fare un sonetto4».

Cino da Pistoia (1270 – 1336?)

Grazie al primo sonetto composto, il Dante conobbe alcuni poeti suoi contemporanei come Cino da Pistoia, Lapo Gianni e Guido Cavalcanti, che gli rispose con un sonetto, come il Dante racconta sempre nella «Vita Nuova»:

«A questo sonetto fu risposto da molti, e di diverse sentenzie, tra li quali fu risponditore quegli, cui io chiamo primo de’ miei amici, e disse allora un sonetto, lo quale dice

«Vedesti al mio parere ogni valore».

E questo fu quasi il principio dell’amistà tra lui e me, quando egli seppe che io era quegli, che gli avea ciò mandato5».

Guido Cavalcanti (1259? – 1300)

Il Cavalcanti fu assai stimato dai suoi contemporanei e fu consigliere sincero del Poeta:

«Conciossiachè le parole, che seguitano a quelle che sono allegate, siano tutte latine, sarebbe fuori del mio intendimento se io le scrivessi; e simile intenzione so che ebbe questo mio amico, a cui ciò scrivo, cioè ch’io gli scrivessi solamente in volgare».

Anche a Cino da Pistoia, poeta e dotto giureconsulto, diresse vari sonetti, citando i suoi lavori nel «De vulgari eloquentia».

Lapo Gianni, notaio, fu invece attestato nel seguente poeta, indirizzato a Guido Cavalanti:

Guido, vorrei che tu e Lapo ed io

Fossimo presi per incantamento,

E messi ad un vascel, ch’ad ogni vento

Per mare andasse a voler vostro e mio6;

Nonostante dedicasse tanto tempo agli studi, non dimenticò i suoi doveri di cittadino, partecipando alla Battaglia di Campaldino (1289), poiché nobile ed addestrato alle armi.

Dante descrisse la battaglia in una sua lettera:

«Dieci anni erano già passati dopo la battaglia di Campaldino, nella quale la parte ghibellina fu quasi al tutto morta e disfatta, dove mi trovai non fanciullo nell’armi, e dove nel principio ebbi temenza molta, e nella fine grandissima allegrezza per li varii casi di quella battaglia7».

Alla fine della Battaglia, il Dante riprese il corso degli studi in Firenze, quando seppe dell’infermità, cui era costretta Beatrice, che morì il 9 giugno 1290, all’età di ventiquattro anni.

(1) DANTE ALIGHIERI. Vita Nuova. III. Edizione nazionale delle opere di Dante. Società Dantesca Italiana. Firenze, Bemporad, 1932.

(2) GIOVANNI BOCCACCIO. Trattatello in laude di Dante. V, Amore per Beatrice. I grandi libri Garzanti n. 586. Edizione Garzanti, ottobre 1995.

(3) LEONARDO BRUNI. Della vita studi e costumi di Dante. Sansoni, Firenze 1917.

(4) Vita Nuova, II.

(5) Op. cit. III.

(6) DANTE ALIGHIERI. Rime. LII – Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io. Le opere di Dante a cura di Michele Barbi. Società Dantesca Italiana, 1960.

(7) LEONARDO BRUNI. Opere letterarie e politiche. UTET 2013.

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