Gabriele D’Annunzio: alla vigilia della Grande Guerra

Nel giugno del 1913, Gabriele D’Annunzio fu contattato dal produttore cinematografico Giovanni Pastone, perché si assumesse la paternità di un film già girato, «Cartagine in fiamme» dal romanzo di Emilio Salgari. Lo Scrittore propose un nuovo titolo: «Cabiria», dal nome della protagonista, e sostituì tutte le didascalie: il film sarebbe entrato nella storia del cinema.

Emilio Salgari (1862 – 1911)

Mentre il Gabriele s’intratteneva a Parigi, in Italia il suo nome frequentemente agitava le cronache giornalistiche: nella causa tra Pietro Mascagni e l’editore Renzo Sonzogno per i diritti su la «Parisina» musicata dal Maestro per un altro editore; per l’annuncio dell’imminente produzione della «Francesca da Rimini» al Teatro Regio di Torino su musiche dello Zandonai; lo biografo Filippo De Titta inventava di sana pianta gustosi aneddoti sulla vita del D’Annunzio; la città di Pescara omaggiava il suo glorioso cittadino organizzando rappresentazione delle sue opere teatrali; la Lettura pubblicava il testo de «La Pisanelle» tradotto da Ettore Janni, mentre sul Corriere della sera usciva a puntate «La Leda senza cigno».

Berthe Bady (1872 – 1921)

Nel mese di Agosto, Gabriele rientrò ad Arcachon, per lavorare alla nuova opera: «Il ferro», annunciata all’editore Treves tre anni prima, nel 1910, mentre seguiva l’immediata traduzione in lingua francese da parte del marchese di Casa Fuerte: «Le Chèvrefeuille». Il 18 agosto, il Gabriele scrisse al Treves, pretendendo dei soldi, e lo stesso giorno il Corriere della sera annunciò la prima del nuovo lavoro al Teatro dell’Ambigue – Comique, nell’interpretazione della grande Berthe Bady.

Charles Le Bargy (1858 – 1926)

In settembre, il primo atto era terminato ed alla fine del mese il D’Annunzio si recò a Parigi, per leggere «Le Chèvrefeuille» alla compagnia francese, rientrando immediatamente ad Arcachon. Le prove iniziarono ancor prima che il dramma fosse ultimato. Charles Le Bargy, attore importantissimo della Comédie, regista del nuovo lavoro, si mostrò assai scontento del testo, arrivando addirittura a chiedere dei cambiamenti allo Scrittore, il quale, rientrato a Parigi, rivalse le sue posizioni.

Il 28 ottobre, tornava ad Arcachon, dove trovava una lettera della Natalia, che gli rimembrava il quinto anniversario, lasciando Gabriele tiepido, poiché considerava conclusa la storia. «Il Ferro» e la versione francese furono terminati, cosicché il Poeta poté chiedere soldi, essendo ridotto a mangiare a credito presso un oste, Bard Pons, nei suoi soggiorni parigini.

Il Poeta arrivò a Parigi il 5 novembre, mentre infuriava la pubblicità del Corriere della sera sull’entusiasmo degli attori, prossimi alla rappresentazione de Chèvrefeuille, che sarebbe andato in scena il 14 dicembre 1913 presso il Théâtre de la Porte Saint Martin. Il giorno precedente su Le Figaro era stato pubblicato un articolo del D’Annunzio, che annunciava la sua opera quale «vera tragedia moderna, concepita con l’ambizione di condurre sulla scena una sorella estrema dell’Elettra antica», ma ciò non bastò ad evitare il tracollo, tantoché delle previste duecento repliche, se ne realizzarono appena sedici.

Luigi Albertini (1871 – 1941)

Il 15 dicembre, si celebrò presso il Teatro alla Scala la prima della «Parisina», che non registrò diversa sorte, forse anche a causa dell’eccesiva lunghezza dell’opera, che si chiuse alle tre del mattino. Luigi Albertini, direttore del Corriere della sera, intervenne presso il Librettista, perché intervenisse tagliando l’intero ultimo atto. La nuova edizione non riscosse successo, nonostante lo spettacolo finisse intorno all’una del mattino.

Sibilla Aleramo (1876 – 1960)

Dopo gl’insuccessi teatrali, il Gabriele si allontanò dal mondo letterario, tuffandosi nel bel mondo parigino. Sullo scorcio dell’anno, intrecciò amicizia con Sibilla Aleramo, che si trovava a Parigi, dove aveva conosciuto Guillaume Apollinaire; la poetessa lo descrisse come «un fanciullo candido, felice di manifestarsi, felice ingenuamente d’incantarmi. – Mentre egli parlava, lo descrisse: – se non in confuso il suo volto d’avorio, la cui espressione non aveva importanza, perché tutto il fascino derivava dalle parole che la sua bocca diceva e dal modo come le diceva, sì che si trasformavano di repente in aroma, in effusa essenza».

Il 16 febbraio 1914, il D’Annunzio, accompagnata dalla Natalia, partì alla volta di Londra, per assistere alla Waterloo Cup, premio nazionale inglese delle corsi canine; li seguirono la cameriera Aélis, Suzanne Boulanger e madame Hubin. La traversata mise a durissima prova la capacità di resistenza dello stomaco del Poeta; quindi la compagnia si stabilì in un albergo sul Tamigi. Gabriele poté quindi osservare l’arredo urbano della capitale dell’Inghilterra, che aveva accolto con successo le sue pubblicazione editoriali.

Si recarono alle corse dei levrieri e Gabriele poté annotare con cura i particolari di quel mondo, caratterizzato anche dalla presenza del Duca di Leeds e di James Rothschild. In un’intervista al Daily Mail, dichiarò che sarebbe sicuramente tornato l’anno appresso, registrando un soggiorno più lungo, progetto che non si sarebbe realizzato. Alla fine di febbraio, rientrò, accompagnato dalle signore, a Parigi ed il 28 rilasciò una lunga intervista al Corriere della sera, dove rivelò d’impegnarsi ogni mattina al punching ball; quindi parlò delle esperienze cinematografiche, giudicando, con un certo orgoglio, «Cabiria»: «Pensavo che dal cinematografo potesse nascere un’arte piacevole il cui elemento essenziale fosse il meraviglioso». Rincorso anche dalla stampa parigina, sempre più avida di notizie, il D’Annunzio escogitò un incidente al ginocchio e conseguente degenza a letto, per concedersi una pausa rigenerante. In verità, non fu il ginocchio a dolergli, ma i patimenti per una malattia venerea, come comunicò all’anziano Emilio Treves. La notizia giunse anche al ministro delle Finanze, Luigi Rava, mentre sulla stampa impazzivano le ipotesi. Intanto, la storia con Natalia segnava anche il passo, tantoché nei primi giorni di giugno, ella gli scrisse: «Non sono più piccola – né tua».

Gavrilo Princip (1894 – 1918)

Mentre il 28 giugno 1914, il Poeta assisteva ad un saggio di danza della scuola di Isabelle Duncan, lo studente serbo Gavrilo Princip a Sarajevo uccideva l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e sua moglie Sofia di Hohenberg.

L’anno 1914 segnò un deciso spartiacque nella vita del D’Annunzio: la prima dedicata all’arte ed alle avventure amorose, la seconda nell’impegno deciso per la patria dominato da un insistente ritmo di morte. Si dedicherà alle composizioni di orazioni, messaggi, appelli, memorie e poesie, ispirate ai più puri sensi patriottici. Si produrrà quale interventista, prenderà parte alle azioni militari di Cattaro, Buccari e Vienna, fino all’impresa di Fiume ed allo sterile duello con Benito Mussolini.

Aveva lodato re Umberto, aveva palpito per gl’irredenti dalmati, esecrato l’Austria, auspicato il dominio italiano sul Mediterraneo e perfino con la conquista dei cieli con l’aviazione.

Rovesciò allora la sua esistenza nel dramma della guerra; scriverà:

«La malattia m’aveva già distaccato da molte cose, e liberato interamente dalle ceneri del mio stesso ardore. Sono leggero e spedito per andare verso l’avventura, verso il pericolo e verso la morte».

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