Johann Wolfgang Goethe: «Il viaggio in Italia». Febbraio 1787: Roma

Il 3 febbraio, il grande scrittore tedesco, a proposito della bellezza di Roma, trascrisse sul suo diario quanto segue:

«Non è possibile formarsi un’idea della bellezza di Roma, allorquando splende la luna nel suo pieno, senza averla vista. Tutti i particolari scompaiono in quel grande contrasto di luce, e di ombre, ed unicamente le immagini in grande ed in complesso, si presentano all’occhio». Nello splendido panorama romano, «l’aspetto imponente si è quello del Colosseo, il quale di nottetempo è chiuso. Vi abita un eremita in una piccola cappella, ed accattoni cercano ricovero sotto le volte di quello».

Insomma, anche alla fine del Settecento il comportamento di certi cittadini era assai indecoroso, infatti «avevano acceso fuoco sul nudo terreno, e l’aria tranquilla, cacciava a malapena il fumo dall’arena, in guisa che la parte inferiore di essa rimaneva quasi immersa in quello, mentre in alto le mura immense sorgevano più severe, più cupe; stavamo contemplando quello spettacolo dal di fuori, contro la cancellata, mentre in alto splendeva chiara e limpida la luna».

Mentre lo Scrittore si trovava a Roma, in Trinità dei Monti erano iniziati degli scavi, per allogare il famoso obelisco, così il suo parrucchiere un bel giorno offrì all’illustre turista un frammento «in terra cotta, di superficie piana, con alcune figure […]. Non frapposi indugio a farne acquisto. Non è guari più largo della mano, e sembra dovesse formare parte del bordo di un ampio piatto. Vi si scorgono due grifoni presso un’ara destinata a sacrificio; sono di lavoro finitissimo, e se fossero invece incisi sopra una pietra dura, potrebbero formare un bellissimo sigillo».

I romani erano già famosi come venditori di oggetti antichi!

«Il 2 di febbraio abbiamo assistito nella cappella Sistina, alla funzione della benedizione delle candele, se non che vi trovammo poca soddisfazione»; ancora una volta, il Goethe rimase deluso dalla cerimonia papale. Registrò anche come il fumo delle candele e dell’incenso avessero danneggiato le pitture, manifestando la severa preoccupazione che potessero irrimediabilmente deturparle.

Il 17 febbraio, il Poeta si recò a S. Onofrio al Gianicolo, per visitare la biblioteca del convento, dove campeggiava un busto del Tasso:

«La figura è di cera, ed io sarei portato a credere, sia stata presa dal suo stesso cadavere. Tuttoché eseguita con poca cura, ed anche guasta in alcune parti, rivela meglio di qualunque ritratto, l’impronta di un uomo d’ingegno, d’indole fiera, gentile ad un tempo, e riflessiva»; quindi il pellegrinaggio è proseguito nella visita alla tomba.

Il 21 febbraio 1787, Goethe annotò l’imminente viaggio per Napoli, ripromettendosi di tornare nella Capitale:

«Domattina partiamo per Napoli, ed io godo in anticipazione di tutto quanto sarò per vedere colà di bello, nutrendo speranze di acquistare in quella contrada di paradiso nuova libertà di spirito, e volontà di dedicarmi più seriamente ancora al mio ritorno in Roma, allo studio dell’arte».

Positiva assai l’esperienza romana: «posso dire non avere perduto un solo istante, ed è pure ciò già qualcosa; però ancora non basta».

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