Note su Alban Berg

Arnold Schönberg (1874 – 1951)

Arnold Schönberg condusse l’aspetto più teso e polemico del lungo processo atonale, portandolo alla forma distruttrice e negativa, che, in altri musicisti analoghi, rimase in uno stadio interiore, perché si consumasse in una funzione transitoria e quasi pratica, al fine di realizzare una vera e propria liberazione dal senso cromatico della tonalità. Nell’ultima espressione musicale dell’Ottocento, l’atonalismo rappresentò una svolta implicita, cosicché anche tra i musicisti, che non si schierarono con Schönberg, la liberazione dal cromatismo fu sempre avvertita come larghezza d’intendimento più spirituale che cronologico. Il distacco dalla tonalità ad opera di Stravinskij, già presente nelle prime composizioni, presuppose una rinuncia interiore non dissimile dalla rinuncia manifesta quale testimonianza di tutta l’opera di Schönberg. Nelle Trois poésies de la lyrique japonaise (Tre liriche giapponesi), nel terzo atto dell’opera Rossignol e nel fugato tratto dall’Ottetto, Strawinsky operò lo sganciamento dalla tonalità con metodo molto simile allo Schönberg, avviando una ricerca nella dodecafonia.

L’atonalismo rischiò di sconfinare nell’assoluta staticità armonica, poiché ogni accordo avrebbe risentito della fissità ed immobilità, in assenza assoluta di quell’attrazione, che contribuisce alla creazione di una corrente armonica, la quale è caratteristica precipua della nostra armonia, composta di attrazioni e repulsioni lungo l’intero discorso musicale, che unisce, individuandolo in un tutto logico. Nella manifestazione negativa, si delineò il valore, il rilievo e la funzione dell’esperienza atonale. Attraverso la scossa violenta, che avrebbe polverizzato tutto ciò che fosse appartenuto al passato, si ebbe occasione di un nuovo inizio, tornando ai dodici suoni della scala cromatica, stavolta sullo stesso piano quale materiale fresco e nuovo.

Mentre Schönberg lavorò in un clima dissolutivo, al fine di ottenere il disfacimento estremo del linguaggio ereditario dell’Ottocento, Alban Berg compose, ridonando un nuovo ordine al mondo sonoro disgregato e portato a una primordiale elementarità dell’atonalismo, senza esitazioni. Intorno al 1920, si concretizzò la formulazione dell’atonalismo nella teoria dell’espressionismo musicale, mentre Berg procedette illuminato da una luce, sorgente dal fervore della propria vita spirituale, che gli avrebbe garantito un’integerrima genuinità di stile, mentre i suoi colleghi si sarebbero dibattuti in discussioni, tendenze e fugaci mode. Egli proporrà lavori, frutto del suo moto di spirito, lontani da ogni atteggiamento decorativo e per ciò sarà facilmente riconducibile al movimento espressionista.

Le prime composizioni si mossero nello spettro di atteggiamenti wagneriani, in un’aura nettamente ottocentesca, con accenti impressionistici evocati da passaggi schiettamente esatonali; nella musica vocale da camera chiari furono i riferimenti strofici della melodia, che ricordano Brahms. La personalità del musicista è ancora allo stato primitivo e spesso si concede a riecheggiamenti di modi altrui, soprattutto nei Sieben frühe Lieder (Primi sette canti) (1907) e nella Klaviersonate (Sonata per pianoforte) (1908).

Anton Webern (1883 – 1945)

Attorno al 1910, iniziò la frequentazione con Schönberg, che stava vivendo un momento importante della sua esperienza creatrice nella composizione del Pierrot lunaire. Berg compose i Vier Lieder op. 2 (Quattro canti)e String Quartett op. 3 (Quartetto), con cui avrebbe omaggiato il suo maestro, Anton Von Webern, dove si sarebbe respirata un’aria ben diversa rispetto ai lavori precedenti. La scrittura si colorò di accenti nuovi e originali, gettando le basi per i lavori futuri. Berg non imitò il suo maestro, perché il suo stile sviluppa per germinazione interiore e l’incontro con l’atonalità non sarà fortuito, ma prevarrà quale svolgimento spontaneo.

Nei Vier Lieder op. 2, si è colpiti dalla scrittura armonica estremamente tesa in un ambito sfocato d’impressionistica maniera colta e resa con sensi nuovi grazie all’addolcimento delle asprezze. La forma è chiara e, nello stesso tempo, accesa da un palpito umano, lontano da ogni forma violenta di espressione, essendo privo del sarcasmo corrosivo di Schönberg. Egli non agì nelle spigolature e nelle contratture di Stravinskij, disponendo la materia sonora in modo quasi solenne, frutto di un’esperienza dolorosa, alla quale il musicista non avrebbe mai reagito con violenza, rifugiandosi piuttosto in un lamento, proveniente dal profondo.

I Vier Lieder op. 2 segnarono i primi contatti coll’Impressionismo, nel posizionamento di elementi, che saranno svolti in seguito quale frutto – com’è già stato accennato – di un’esperienza interiore e stilisticamente genuina. Il Quarto canto presenta un’interessante anticipazione del metodo, con cui il compositore tratterà la voce nel Wozzeck: un lungo declamato caratterizzato da intervalli desueti, spiegati da esigenze drammatiche e dal tessuto armonico dell’orchestra.

Nell’opera 3 della primavera del 1910, troveremo sviluppati i modi dell’opera 2, mentre nei Drei Orchesterstücke op. 6 (Tre pezzi per orchestra op. 6), userà delle speciali indicazioni, per distinguere in partitura le voci principali da quelle secondarie, secondo l’insegnamento di Schönberg; così come nel Wozzeck userà la declamazione ritmica del Pierrot lunaire di schönberghiana derivazione. Nel Kammerkonzert (Concerto da camera), scriverà le parti degli strumenti traspositori in notazione reale, come nel Quintetto a fiati del suo secondo maestro.

Nel primo Quartetto le parti sono ravvicinate, per generare una sonorità densa e lasciando che il suono si modelli sodo e morbido nello stesso tempo, nella fruizione polifonica, generata in funzione dell’armonia. La successione di masse armoniche genera il moto melodico delle parti, che nella configurazione polifonica acquista concisione e peso sonoro. Il discorso musicale è concepito, quindi, per blocchi di suono in articolazioni morbide, che generano corrente continua, in cui tutto si avvolge smorzato ed ovattato.

Berg supera l’impressionismo attraverso un senso del volume e della massa perseguito e raggiunto senza rinnegare totalmente l’assunto della corrente musicale, anche se appare evidente, nel Quartetto, che i contorni non sono chiari nel suo modo di esprimersi, nel superamento della forma chiusa, che s’imporrà dai Tre pezzi per orchestra in poi.

Al Quartetto op. 3, seguiranno i Cinque canti per orchestra (1912), i Quattro pezzi per clarinetto e piano (1913), ed i Drei Orchesterstücke  (1914), che condenseranno l’humus creativo del mondo musicale del Wozzeck. Sperimentiamo tutta la fresca novità del linguaggio, cristallizzato in un senso di ricostruzione e rigenerazione musicale, libero da qualsiasi influsso di corrosività schönberghiana. Nel Quartetto op. 3, lavora su uno spezzettamento contrappuntistico, seppur condensato nei volumi armonici, che origina un serpeggiare incessante di brevi linee melodiche, fuse in un blocco esprimente la sensibilità plastica del compositore.

Nei Frammenti armonici dell’opera Lulu, ricrea una forma solida e densa, utilizzando ancora una volta la tecnica dello spezzettamento del fatto sonoro, in cui il movimento delle singole parti non procede in emozione musicale, esistendo in funzione della massa, della complessiva vibrazione armonica, priva di dissolvimento, in quanto incastrata in questa rete di contrappunti.

I tre pezzi (Preludio, Danza, Marcia) vivono in un’atmosfera pesante ed angosciosa, che si dilaterà nel Wozzeck. La Danza è un’ossessione di ombre, in uno stato angoscioso, senza scatti, balenando una tragicità sinistra; si preannuncia così la quarta scena del secondo atto del Wozzeck. I Tre pezzi delineano il mondo interiore del musicista, la cui visione della vita lo accosterà alla tragedia di Büchner, dominata da un fato cieco e cattivo, che governa la vita umana.

Dal 1914 al 1920, Berg si concentrò sulla composizione del Wozzeck, che rimarrà al centro della sua attività, sommandone tutti i pregi ed i difetti nel circostanziare, sotto una nuova luce, il vecchio e sempre vivo cosiddetto problema dell’opera, impostato e splendidamente risolto da un artista, dotato di una vita interiore profonda e irruente. Il Pelléas et Mélisande di Claude Debussy si porrà stilisticamente e spiritualmente agli antipodi, poiché prevarrà il sintomo della melodia spezzata, al fine di sottolineare addirittura ogni parola, quale reazione al teatro ottocentesco di Verdi e Wagner. La musica nel Pelléas è concepita per lievi tocchi; nel Wozzeck, predomina la musica, analizzati i vari momenti del dramma nella loro sintesi e trasfigurati in senso musicale. Alban Berg sembrerebbe riscoprire la concezione del dramma Sette – Ottocentesco nella tendenza di procedere a «pezzi», così come in forme musicali chiuse. Il Wozzeck risulta quale sbocco necessario dello spirito della vicenda, è il termine spontaneo della personalità del musicista, il quale rinuncia a meditare sui rapporti tra musica e parola, sul declamato, sul canto schietto oppure sul parlar cantando.

Il soldato Franz Wozzeck ha avuto una figlia al di fuori del vincolo matrimoniale da Maria, che torna a vivere nella stanza, dove aveva dimorato prima dell’incontro con Franz. Dalla finestra, vede il passaggio dei soldati inquadrati ed in libertà e la vita delle persone, che scorre tranquillamente. Wozzeck soffre a causa di due persecutori, il suo Capitano ed il Dottore, i quali si avvalgono dei suoi servizi in cambio di danaro. Mentre il Capitano cerca d’ingelosirlo, per condurlo alla rovina, il Dottore lo usa come cavia per le sue ricerche alimentari sulla interdipendenza del sistema nervoso spinale con quello vegetativo.

Wozzeck non è a conoscenza che Maria lo stia tradendo col Tamburmaggiore, ed, essendo tediato dai due persecutori cade vittima di un’ossessione, che schianta e lacera ogni sentimento del suo animo, causa dell’uccisione di Maria, il cui sangue lo condannerà a trovare la morte per annegamento in uno stagno.

La musica di Berg si basa su una visione della vita estremamente pessimistica, poiché il male domina con una fatalità serrata ed inesorabile, opera occultamente, quasi un germe segreto, che si annida in ogni uomo ed in ogni sua azione, schiavizzandolo, riducendolo all’impotenza dell’operare o del subire. Il Capitano e il Dottore spingono Wozzeck alla rovina per stupidità e presunzione, non certo per malvagità, così come Maria tradisce il padre di sua figlia senza intuire, né sospettare il male; il Tamburmaggiore lo schernisce e lo umilia, contento di avergli rubato la donna, dimentico del male, poiché Maria è la donna di tutti, come la donna di Wozzeck.

Lo spirito della vicenda convince l’autore all’uso della forma chiusa, in cui si sperimenta l’inesorabile fatalità, che grava su ogni atto umano. I singoli momento, le singole scene conservano un’unità da cogliere indipendentemente dall’andamento della vicenda. La quarta scena del primo atto si svolge sulla Passacaglia, che chiude la ferrea unità procedente dal tema, scomponendolo in una molteplicità di ventuno variazioni. La causa della scelta di questa tecnica compositiva è nella dimostrazione dell’ottusa ostinazione del Dottore nei riguardi del protagonista, considerato alla stregua di un animale, su cui provare i propri esperimenti.

La seconda scena del secondo atto è caratterizzata dalla Fantasia e Fuga, con cui l’autore sente l’esigenza chiara di chiudere la scena in un ciclo musicale fermo e conseguente, generando un’atmosfera pesante, perché si compia il fato.

Il Valzer della quarta scena del secondo atto combina qualcosa di sinistro e tragico nel procedimento irruente, che tende a travolgere la dimensione sonora, mentre nella pista da ballo, Wozzeck assiste al ballo tra Maria ed il Tamburmaggiore, tradendo debolezza di fronte al chiaro tradimento.

L’uso delle forme chiuse è da ascriversi alla necessità di organizzare la materia sonora dopo la decomposizione impressionista ed atonale, al fine di fornirle un sistema di forze, che la tengano unita. Lo spirito costruttivo si attua attraverso un ordinamento sintattico del discorso musicale nella riconquista della stroficità coll’apparizione della sonata, della gavotta, quindi della passacaglia, la fuga, il rondò e l’invenzione.

Una luce sensibilmente nuova, serena e distaccata sembra trasparire dal Kammerkonzert für Klavier und Geige mit 13 Bläsern (Concerto da camera con pianoforte, violino e tredici strumenti a fiato) (1925), in cui la mestizia si dimostra in un tono rasserenato, come dopo un brutto temporale. La trama contrappuntistica si manifesta nello sviluppo melodico e non chiusa nelle masse armoniche. Le melodie si descrivono ora lunghe ora incurvate, quindi avvolte e quasi sepolte nel vibrare dell’armonia ed infine staccate su sfondi tonali, che ne assorbono il profilo.

Il medesimo spirito si ripresenta nei sei tempi della Lyrische Suite (Suite lirica) (1926), una delle composizioni più felici di Alban Berg per la coerenza del discorso musicale, l’ispirazione sempre viva, la misura impeccabile dell’espressione quartettistica.

Del 1929, è l’aria da concerto Il vino, da Les fleurs du mal, su testo di Charles Baudelaire (L’ame du vin, Le vin des amants, Le vin du solitaire), nelle due versioni in lingua originale e nella traduzione tedesca di Stephan George. E’ un inno al contributo del vino a chi viva uno stato d’animo di penosa e chiusa malinconia, collocandolo nel paradiso artificiale, in cui la glorificazione dell’ebbrezza assume l’aspetto di un’evasione violenta.

Entends-tu retentir les refrains des dimanches

Et l’espoir qui gazouille en mon sein palpitant?

Les coudes sur la table et retroussant tes manches

Tu me glorifieras et tu seras content.

(Non odi risuonare i ritornelli domenicali / E la speranza che bisbiglia nel mio seno palpitante? / I gomiti sul tavolo e rimboccando le tue maniche, / Tu mi glorificherai e sarai contento)

In Baudelaire, la pena, che pesa sul cuore, diviene leggera e si discioglie; in Berg è più pesante e dura e quindi non sfoca in un canto ricco di risonanze e gesti, che allietano il paradiso del poeta. L’origine della musica è nel dolore e quindi nel vino, egli cerca l’oblio, che scenderebbe come farmaco nell’anima, per curarne ogni ferita.

Le parole del testo poetico sprigionano un entusiasmo divino e si colmano di fiduciosa speranza

Tu lui verses l’espoir, l’amour et la vie,

Et l’orgueil, ce trésor de toute gueuserie,

Qui nous rend triomphants et semblabes aux Dieux!

(Tu gli mesci vigore, vita, speranze nuovee l’orgoglio sovrano, il tesoro dei poveri, / che l’anima ci esalta e ci apparenta ai numi!)

perdono il magico splendore nella risoluzione musicale, che anelerebbe solo l’evasione da una pena compressa.

Sembrano riapparire le cupe atmosfere del Wozzeck in un’atmosfera di dolore ancor più grave di sapore lirico.

Nella Lulu, Berg riprende il tema del male, quale forza tremenda, che vive sopra gli uomini, oscurandone la luce della mente nel compimento di ogni atto. Tutto è concentrato sulla protagonista, Lulu, presentata nelle spoglie di un serpente, irradiante uno spirito malvagio, che trascina e rovina tutti coloro che le sono vicino. Quando è costretta ad uccidersi, sparandosi alla tempia, si giustifica in una gelata pacatezza oltreumana e con voce di Sibilla declama:

«Se gli uomini si sono uccisi per cagion mia, questo non diminuisce il mio valore. Io non ho mai voluto apparire nel mondo qualcosa di diverso da ciò per cui sono stata presa; e nel mondo non mi hanno mai presa per qualcosa di diverso da quello che sono».

Musica germogliata da una personalità viva e potente, che ha percorso la via con coerente linearità in mezzo al tumultuare di tendenze, esperimenti, ritorni all’antico, che agitarono la sua epoca. La sua opera, nel movimento dell’atonalismo, s’innalza ferma, serena con tutti i segni di quella vitalità, che trascende i tempi e le scuole, propria dell’arte eterna.

Lascia un commento

search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close