Il debutto «napoletano» di Pietro Metastasio

Giovan Vincenzo Gravina (1664 – 1718)

La morte di Giovan Vincenzo Gravina, avvenuta nel 1718, rese il Metastasio unico erede di un patrimonio assai cospicuo. Al fine di ricordare il suo maestro, il Poeta lo ricordò solennemente con un elogio durante l’adunanza del giovedì degli Arcadi. Pietro allora continuò con maggior lena lo studio dei classici, rinunciando, definitivamente, al desiderio di lavorare per la corte pontificia. Fu ospite sempre più gradito delle brillanti conversazioni, organizzate dai ceti alti della società romana, seguendola nei posti di villeggiatura e frequentando le loro feste. In poco tempo, vide il patrimonio, assegnatogli dal suo maestro, diminuire, sicché decise di cambiar vita, allontanandosi da quella società, che tanto aveva amato. Pensò di tornare agli studi giurisprudenziali, abbandonando la poesia e trasferendosi a Napoli, dove bussò alla porta di uno dei più eminenti avvocati ed ottenendo la possibilità di collaborare. Fu certamente un avvenimento molto importante nella vita del Metastasio, che decise così di dedicare gran parte della giornata alle cause.

Il 28 agosto si sarebbe celebrato, come ogni anno, il compleanno dell’imperatrice Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbüttel, moglie di Carlo VI d’Asburgo, la quale era in attesa dell’erede maschio. A Napoli, fu organizzata una rappresentazione teatrale presso il Teatro Imperiale e corse immediatamente il nome del Metastasio, che fu convocato presso la Corte ed incaricato di provvedere al libretto, che avrebbe dovuto cantare le speranze del popolo napoletano riguardo l’imminente parto reale. Continuò a lavorare nello studio legale, impegnandosi sul finire della giornata a comporre il libretto richiesto. Terminato l’impegno, fu ricevuto a Corte, per presentare la sua fatica, «Gli orti esperidi», e per cui avrebbe ricevuto il compenso di duecento ducati. Chiese ed ottenne di non essere nominato quale autore dei versi, al fine di non recare pericolosi disturbi alla sua nuova attività legale. Fu comunicato ufficialmente che l’autore della poesia era un anonimo arcadico romano.

Marianna Benti Bulgarelli (1684 – 1734)

La Cantata entrò ben presto nel cuore degli spettatori, che inevitabilmente si domandarono chi fosse stato a creare la poesia; la più attiva fu il soprano Marianna Benti Bulgarelli detta la Romanina, un’esecutrice del lavoro, la quale, recandosi a Corte, riuscì a sapere il nome dell’autore. La notizia arrivò velocemente al Metastasio, il quale smentì la paternità del lavoro, nonostante le insistenze della Bulgarelli, la quale volle personalmente conoscerlo. Così il Poeta fu ricevuto in casa del soprano e grazie alle cortesi affabilità della donna, si assunse completamente la veritiera paternità della poesia. La Marianna dimostrò tutta la sua stima, manifestando anche una certa corrispondenza d’affetti nei riguardi del Poeta, divenendone, dopo lunga frequentazione, l’amante. Ben presto il Metastasio diradò la sua presenza presso lo studio legale, trascorrendo il tempo in piacevole ed amorosa conversazione con la Romanina, provocando in breve il licenziamento. Rimasto senza possibilità di guadagno, il Poeta si protestò con il soprano, che lo avrebbe ospitato in casa sua grazie anche alle dolci insistenze del di lei marito, Domenico.

Ben presto ricevette la commissione di scrivere un altro lavoro, per il carnevale del 1724, dietro compenso di duecento ducati, creando il capolavoro della «Didone abbandonata», posto in musica da Domenico Sarro; protagonista la Romanina, che colse un particolare successo personale. Il dramma presentò, per la prima volta, dei caratteri assai sostenuti da affetti ben disegnati, con particolare e varia scelta metrica, che entusiasmò il pubblico e ben presto il nome del Metastasio iniziò a propagarsi in Italia. Terminate le rappresentazioni, la Bulgarelli informò il Poeta dei suoi propositi di ritorno in Roma e, grazie, soprattutto, a Domenico Bulgarini, marito della cantante, si decisero tutti di partire alla volta della Città eterna.

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