Il mito di Melampo

Narra Apollodoro di Atene nella «Biblioteca»

Melampo, figlio di Amitaone e Idomenea, viveva in campagna. Accanto alla sua casa una grande quercia ospitava dei serpenti e, per paura che potessero colpire col veleno mortale il loro padrone, i servi li uccisero, affidando le carcasse a Melampo, che le bruciò, salvando i piccoli. Quando crebbero, essi gli si avvicinarono, mentre dormiva, lambendogli le orecchie e provocando l’improvviso, preoccupato risveglio dell’uomo, che, con sua grande sorpresa, si accorse di comprendere il verso degli uccelli, i quali volavano sopra di lui. Grazie all’istruzione ricevuta dai volatili, Melampo iniziò a predire il futuro agli uomini, anche attraverso l’analisi delle interiora degli animali; il definitivo incontro con il dio Apollo, presso le rive dell’Alfeo, lo qualificò come il più istruito tra gl’indovini.

Intanto, il fratello Biante desiderava sposare Pero, figlia di Neleo, il quale aveva promesso la mano della figlia solo a chi fosse stato in grado di consegnargli le vacche di Ificlo, custodite da un cane ferocissimo cogli uomini e gli animali. Biante ricorse al fratello, che gli vaticinò la riuscita dell’impresa, se, egli stesso, fosse stato scoperto a rubare e avesse trascorso un anno come prigione. Melampo si recò presso Filace, dove si trovava l’ambita preda e, mentre si apprestava a rubarle, fu sorpreso e incatenato sotto sorveglianza in un edificio.

Dopo circa un anno di prigionia, il prigione sentì parlare dei tarli, che discutevano sulla quantità di legno, che avrebbero dovuto mangiare, perché cadesse la trave di sostegno. Egli chiese ed ottenne di essere trasferito immediatamente in un altro edificio e così riuscì a scampare alla morte. Allora, tutti capirono che Melampo era davvero uno straordinario indovino e il suo aguzzino, Filace, lo liberò, chiedendogli come suo figlio, Ificlo, avrebbe potuto generare dei figli. Melampo pretese le vacche in cambio; quindi sacrificò due tori e chiamò gli amici uccelli, tra cui un avvoltoio, che denunciò Filace di avere posato il coltello, sporco di sangue, con cui aveva castrato dei montoni, accanto al figlio Ificlo, il quale, spaventato, era fuggito. Allora Filace aveva conficcato il coltello nella quercia sacra e la corteccia, successivamente cresciuta, l’aveva ivi nascosto. L’avvoltoio avvisò Melampo che, se avesse trovato il coltello e grattata la ruggine, per offrirla come liquido da bere per dieci giorni ad Ificlo, costui sarebbe diventato padre. Melampo  rinvenne l’arma ed eseguì il dettato della bestia e così nacque Podarce. Le vacche furono consegnate a Pilo, che immediatamente concesse in sposa la figlia, Pero, a Biante, fratello dell’indovino.

La fabula presenta molti elementi simbolici, che offrirebbero all’uomo contemporaneo la chiave, per capire la profondità della vita e le occulte dinamiche, che la regolano. Ecco perché stimiamo assolutamente necessario lo studio, da parte delle giovani generazioni, della mitologia, al fine di comprendere la realtà, in cui agiranno, e la propria interiorità.

Il protagonista è un discendente di Eolo (Elemento Aria), Melampo, il quale commette l’errore di uccidere degli animali, al fine di eliminare un probabile pericolo per se stesso, ma appare nel riscatto, quando ne salva i piccoli. In questo contesto, il serpente non assume ancora il risvolto negativo, indicato dalla civiltà cattolica quale personificazione del Male, infatti i piccoli serpi, appena cresciuti, bisbigliano nelle orecchie di Melampo e,nel contempo, egli impara a comunicare con gli uccelli. Il serpente quale simbolo della conoscenza e quindi della sapienza istruisce l’uomo, il quale, essendo discendente di Eolo, parla il linguaggio degli uccelli, che vivono nell’Elemento Aria, rappresentanti del collegamento tra cielo e terra. Sono gli uccelli, che gl’indicano la tecnica, per leggere nel futuro, poiché, potendo superare la forza di gravità, sono in grado di librarsi e vedere in anticipo ciò che accadrà, rispetto a chi è soggetto alla temporalità della gravità terrestre.

Melampo si presta come indovino, solo dopo aver incontrato il dio Apollo, presso il più grande fiume del Peloponneso; dopo aver manifestato chiaramente ed essere stato illuminato dalla purezza della luce.

La storia di Melampo s’incrocia con il fratello, Biante, il quale ricorre all’indovino per effetti puramente egoistici: sposare una donna, di cui è innamorato, la figlia di Neleo, Pero, nipote di Poseidone; ecco l’incontro tra i discendenti di Eolo (Elemento Aria) ed appunto Poseidone (Elemento Acqua), tra il Maschile ed il Femminile. Perché si possano celebrare le nozze, Neleo pretende che lo spasimante gli rechi delle vacche (animale in cui fu trasformata Io, di cui abbiamo parlato in altra parte di questo Blog) di proprietà di Ificlo.

L’impresa è davvero ardua e solo l’Eroe può essere destinato: Melampo ha ricevuto gratuitamente il dono di vaticinare; dovrà allora restituire il ricevuto, col sacrificio di se stesso. Egli accetta e così si rende autore del furto delle vacche (di Io), ma è colto nell’attimo sbagliato e così imprigionato in un edificio. La prigionia è l’impossibilità di agire, di muoversi, soprattutto quando si è schiavi del proprio Io, che comanda sulla nostra ragione.

Melampo, capendo il linguaggio dei tarli, che stanno per consumare definitivamente il legno dell’architrave, chiede di essere trasferito altrove. Sono passati ben dodici mesi, il sole è tornato sul punto di partenza.

Allora il babbo di Ificlo, Filace, riconosciuto l’assoluto valore dell’indovino, lo trasferisce in un edificio più sicuro e, nel contempo, gli chiede come il figlio possa superare il problema della sterilità. Melampo si dichiara pronto a fornire tutta l’assistenza necessaria in cambio delle vacche. Egli ha bisogno del consiglio del cielo ed è per ciò che un avvoltoio, simbolo in araldica di amore, arriva in suo aiuto, al fine di consigliarlo.

La quercia, laddove Melampo aveva ucciso i serpenti, è nuovamente l’elemento simbolico, che ricorre, in quanto sacro ed oracolare, simbolo solare, che richiama nuovamente Apollo, nasconde la soluzione.

In tempi precedenti, dopo che Filaco aveva castrato dei montoni (animale sacro usato per i sacrifici ad espiazione dei peccati in ambito cristiano), posò il coltello sporco di sangue (elemento legato a Marte, signore dell’Ariete ed ecco che entra nella fabula l’Elemento Fuoco) accanto al figlio, Ificlo, il quale, spaventato, fuggì lontano. Quel coltello, era stato quindi conficcato nella quercia sacra, perché la corteccia lo potesse nascondere. Se Melampo avesse trovato la lama, grattata la ruggine, per essere raccolta ed indicata a Ificlo, perché la bevesse, la triste cabala si sarebbe finalmente estinta. Il coltello è l’elemento fallico, attivo, maschile e la ruggine rappresenterebbe l’unione tra la sacralità femminile ricettiva della quercia, dove è stato conficcato. Quindi Ificlo dovrà bere il frutto tra l’incontro dell’elemento maschile e quello femminile, che gli permetterà di essere generatore della vita. Nacque Podarce, futuro re della Tessaglia ed eroe della guerra di Troia.

Le vacche allora furono consegnate a Pilo e Biante poté così sposare la sua Belo.

La fabula insegna che i doni ricevuti, devono essere usati con sapienza, senza pretendere alcunché in cambio. Il dono quale atto d’amore.

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