«Lo vostro bel saluto» di Guido Guinizelli

Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo

che fate quando v’encontro, m’ancide:

Amor m’assale e già non ha reguardo

s’elli face peccato over merzede,

ché per mezzo lo cor me lanciò un dardo

ched oltre ’n parte lo taglia e divide;

parlar non posso, ché ’n pene io ardo

sì come quelli che sua morte vede.

Per li occhi passa come fa lo trono,

che fer’ per la finestra de la torre

e ciò che dentro trova spezza e fende:

remagno como statüa d’ottono,

ove vita né spirto non ricorre,

se non che la figura d’omo rende.

Quando il Poeta incontra la donna amata, ricevendone il saluto e lo sguardo, si sente morire, perché l’Amore lo assale senza aver alcun riguardo se egli riceverà del bene o del male da detta azione. L’amore è qui paragonato ad un dardo, il quale divide il colpito a metà, puntando sul cuore, ed il dolore, le pene sono così terribili che la parola vien meno, in quanto la morte sembrerebbe vicina.

Il dardo trafigge gli occhi, così come il tuono, che penetra, attraverso la finestra, nella torre, distruggendo tutto ciò che incontra. La dimensione spirituale sembra così svanire e rimane solo il corpo.

L’amore sembra un male da evitare con cura; il Poeta sente tutta la sua impotenza – come l’uomo – di fronte ad un mistero così grande, capace di scatenare tempeste nell’animo di chi ama. La donna è la causa scatenante di questo evento tellurico, solo attraverso uno sguardo, appena accennando un saluto.

Il vero amore provocherebbe del male? Allora che amore sarebbe? Chiameremmo amore un’emozione, che ci trafigge, ci getta nella costernazione, nell’eterno dubbio?

Quello sguardo, così tanto desiderato, si rivelerebbe in verità come un dardo assai acuminato, come sol pungente sa di essere la natura di certi occhi, specchio della propria interiorità. Ed ecco l’amore, che porta divisione, che separa la spiritualità dalla fisicità, che porta alla Dualità, propria della dimensione terrestre. L’amore che distrugge tutto ciò che trova, perché domina, impera; si trasforma in un dittatore delle emozioni, cancellando tutto ciò che potrebbe vivere all’interno di altre emozioni.

Ed è curioso come il Guinizzelli usi la metafora della torre, carta sedicesima dei Tarocchi, in cui è raffigurata, appunto, una torre colpita da un fulmine in una finestra centrale dello stabile. L’urto scatena le fiamme e quindi la scena drammatica di un uomo, a mezz’aria, che sta precipitando al suolo, il capo verso la terra, le gambe verso l’alto: il rovesciamento dell’ordine, l’inizio e la fine del Caos, della controiniziazione. L’immagine lascia presumere che quel fulmine abbia effettivamente distrutto tutto ciò che ha trovato al suo interno.

La dimensione spirituale è svanita; resta un corpo quale simbolo di un uomo in agonia.

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