La «Francesca da Rimini» di Gabriele D’Annunzio

Eleonora Duse (1858 – 1924)

Mentre «Il Fuoco» riscuoteva ampi consensi, la Duse partì per un lungo giro di spettacoli in Germania ed in Inghilterra, dove era giunta l’eco del grande scandalo, che aveva investito il romanzo, fedele racconto dell’intricato rapporto intimo tra la Diva ed il Poeta.

Il D’Annunzio, intanto, frequentava poco o punto Roma, non ottemperando al suo incarico politico – parlamentare; egli era assai distante dalle tensioni, che, in quel periodo, stavano animando la scena politica italiana, fomentate da un ancora clandestino Partito Socialista.

Umberto I (1844 – 1900)

Re Umberto I, simbolo delle forze reazionarie ed antidemocratiche, che sedevano in Parlamento, invocava un colpo di stato legalitario, con un ritorno immediato allo Statuto Albertino, «legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia sabauda». I reazionari presentarono un progetto di riforma del regolamento della Camera, che avrebbe consentito al Presidente d’impedire l’ostruzionismo. D’Annunzio, seppur reazionario, votò coi rappresentanti dell’Estrema Sinistra; e nel mese di marzo 1900, si sedette sui banchi dei nuovi compagni di schieramento, ai quali non si sarebbe unito, condividendone le idee, «ma si bene al loro sforzo distruttivo», per un effettivo cambiamento e rinnovamento nazionale, come scrisse su Il Giorno. La Sinistra affidò a Leonida Bissolati il compito di conquistare il Poeta alla causa; ma la luna di miele durò ben poco, perché, quando il Gruppo parlamentare lanciò un manifesto di vittoria al Paese, Gabriele si rifiutò di firmarlo.

Il 9 aprile, intanto, abbandonò i banchi parlamentari, per unirsi in Vienna alla Duse: «Ricordati del 10 aprile, come di un culmine della tua vita» (Taccuino). Il giorno seguente sarebbe andata in scena «La Gioconda» presso il Burtheater alla presenza dell’imperatore e della corte. Il 14, Gabriele rientrò a Roma, per lanciarsi in una grossa disputa coll’Hérelle, che stava faticosamente traducendo «Il fuoco» per la Revue de Paris. Evitata per poco una definitiva rottura col traduttore, raggiunse nuovamente la Duse, stavolta a Francoforte; il 10 maggio sarebbe tornato in Italia, per appianare i problemi sorti col traduttore francese, che aveva già inviato le prime cartelle alla rivista letteraria per la pubblicazione. Lo scandalo fu ancor più grande; lo scrittore Marcel Prévost biasimò la tendenza di certi scrittori di pubblicizzare le proprie esperienze amorose; Gabriele pregò il Rolland di prendere le sue difese, poi scrisse egli stesso un articolo per Le Figaro, il 31 maggio 1900.

Leonida Bissolati (1857 – 1920)

Mentre infuriava la polemica in terra transalpina, il Re scioglieva la XX legislatura e Leonida Bissolati offrì al D’Annunzio una candidatura colla Sinistra, appoggiato nella campagna elettorale dal Giorno, col quale firmò un contratto biennale in esclusiva. La campagna si preannunciò assai aspra; al D’Annunzio fu rimproverato il cambio di casacca (oggi, invece, par vada di moda!) e così gli elettori non premiarono la scelta del Poeta ed il risultato elettorale del 30 giugno fu infelice. Si concluse così la sua esperienza parlamentare e, al fine di ritemprarsi dalle fatiche e dalle polemiche, si ritirò colla Duse in Versilia, dove la coppia avrebbe trascorso l’estate, durante la quale si dedicò alla poesia, componendo «La pioggia nel pineto».

Gaetano Bresci (1869 – 1901)

Il 20 luglio, l’anarchico Gaetano Bresci uccideva re Umberto I; il Poeta reagì scrivendo «Al Re giovine», invocando il principe Vittorio Emanuele alla conduzione del Paese; quindi, «Per Narciso» e «Pilade Bronzetti», due trentini, ch’erano caduti trent’anni prima per la libertà del proprio Paese: una sfida chiara e netta all’Austria, tantoché a Cesare Battisti fu proibita la pubblicazione sul Giorno per l’intervento dell’autorità giudiziaria del Trentino austriaco. Alla fine dell’estate, la Duse partì per nuovi spettacoli in Germania, mentre il D’Annunzio apprese della morte di Friedrich Nietzsche avvenuta il 25 agosto, proprio quando era intento al lavoro de «Per la morte di un distruttore», dedicato al celebre filosofo, ch’egli stimava quale rinnegatore del cristianesimo e resuscitatore dell’antica religione greca.

Il 14 settembre, pubblicò sul Giorno «Per i marinai d’Italia caduti in Cina» e l’ode «A Roma», in cui auspicava nuova grandezza alla nazione risorta. Alla fine del mese, raggiunse nuovamente la Duse in Germania, anche per sfuggire alle continue richieste degli avvocati di pendenze da saldare. A Lucerna, intanto, Gabriele incontrò l’impresario tedesco Johann Skraup, interessato ad organizzare un lungo giro di spettacoli in tutto il mondo colle opere del Poeta, ma la trattativa prestò fallì e Gabriele rientrò alla Capponcina. Alla fine di ottobre, era a Milano, per visitare il Cenacolo di Leonardo, cui avrebbe dedicato l’ode «Per la morte di un capolavoro», quando gli giunse la notizia del suicidio del suo domestico, Jacopo Vittorelli, dopo aver contratto debiti a nome dello Scrittore.

In Dicembre, era ancora alla Capponcina e l’anno si chiuse intento alla composizione di una laude per Garibaldi, che avrebbe declamato il 25 gennaio 1901 al Teatro Regio di Torino, giudicato dal Pascoli «una porcheria» ed opponendosi ad un invito, formulato a Gabriele da parte di alcuni giovani, di replicare la serata a Lucca.

Giuseppe Verdi (1813 – 1901)

Il 27 gennaio 1901, morì ad ottantotto anni Giuseppe Verdi a Milano, occasione per dedicare un’ode al grande musicista, che avrebbe declamato il 27 febbraio a Firenze, raccogliendo uno strepitoso consenso. Raccolse il giudizio benevolo del Carducci, che gl’inviò un biglietto: «Salute e gloria italiana pura sul tuo cammino». L’11 aprile avvenne, a Bologna, l’incontro tra i due Scrittori, cui fu dedicato un banchetto da parte del Resto del Carlino, suscitando l’invidia del Pascoli, che imputava alla comune militanza massonica l’amicizia e la stima tra i due rivali.

Il 20 marzo 2901, la Duse portava in scena al Teatro Lirico di Milano «La città morta», cogliendo un successo contrastato; fu raggiunta a Venezia dal Poeta, mentre era dispiaciuto da alcuni guai dei figli ed i soliti problemi di salute di Ciucciuzza e soprattutto del fratello, Antonio, pieno di debiti ed in mano agli strozzini. Nonostante il pressante aiuto richiesto, Gabriele non ripianò i suoi debiti, allora Antonio falsificò la firma del Poeta su alcune cambiali, immediatamente rettificate dallo Scrittore, che dichiarò ad alcuni giornali locali di non aver firmato mai cambiali. Antonio scappò repentinamente negli Stati Uniti, sfuggendo all’incriminazione.

Durante l’estate Gabriele tornò colla Duse alla Villa del Secco, in Versilia, dove iniziò la stesura della «Francesca da Rimini», che terminò il 4 settembre, mentre alla fine del mese si trovava a Vicenza, dove avrebbe desiderato rappresentare la sua tragedia nel palladiano Teatro Olimpico. Tramontata l’ipotesi, tornò a Settignano colla Duse, leggendo la «Francesca» a pochi intimi. Le prove si svolsero presso il teatro fiorentino della Pergola; il clima divenne ben presto incandescente per i continui interventi del Poeta, sempre più protagonista ammaliatore, anticipatore delle leggende, che sarebbero state ben presto richiamate nel «dannunzianesimo»: si riferì che indossasse pantofole di pelle umana, bevesse dal cranio di una vergine e montasse nudo a cavallo sulla spiaggia, atteso dalla Eleonora, pronta ad accoglierlo in un manto purpureo.

La sera del 9 dicembre 1901, andò in scena la «Francesca da Rimini» presso il Teatro Costanzi di Roma, protagonista Eleonora Duse con esito disastroso; Pirandello, presente alla rappresentazione, pensò allo stato d’animo dell’Attrice. Alcuni fervidi ammiratori trovarono deliziosi i versi; Renato Simoni scrisse: «Questa Francesca rimarrà». D’Annunzio modificò in seguito il testo, che fu accettato in diverse parti d’Italia, ma soprattutto a Vienna ed a Berlino nell’aprile 1902, ottenne un clamoroso successo.

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