Johann Wolfgang Goethe: «Il viaggio in Italia». Dicembre 1786, Gennaio 1787: Roma

Apollo del Belvedere (Pinacoteca Vaticana)

Il 3 dicembre 1786, Johann Wolfgang Goethe ricordò le sue visite al Pantheon, all’Apollo del Belvedere in Vaticano ed alla Cappella Sistina e di come «s’impossessarono per tal guisa del mio animo, che nulla io scorgo al di là di queste». Lo scrittore notò anche un improvviso interesse per le antichità romane: «Storia, iscrizioni, monete, cose tutte delle quali poco io seppi fin qui, mi cominciano ad interessare», concludendo di essere «nato una seconda volta, essere risorto, nel giorno in cui sono venuto a Roma».

Lo Scrittore loda il tempo della Capitale, anche se autunno inoltrato «nei giardini si vedono piante sempre verdi, il sole splende limpido e riscalda; non si scorge neve, se non a distanza, sui monti verso tramontana».

La notte di Natale la trascorse, vagando per la città e visitando chiese «dove si compivano le funzioni. Una fra queste è frequentata in modo speciale, dove l’organo e la musica hanno un impronta tutta pastorale, riproducendo il suono delle zampogne dei pastori, il cinguettio degli uccelletti, come del pari i belati degli agnelli».

Pio VI (1717 – 1799)

Il giorno di Natale in Piazza S. Pietro, per vedere Papa Pio VI circondato dalla curia pontificia «mentre egli celebrava le funzioni solenni del rito. È spettacolo questo unico nella sua specie, stupendo, imponente pure, se si vuole». La critica all’apparato scenografico non fu certo tenera; da buon protestante mirava eccesiva la teatralità cattolico – romana.

Si rallegrò per l’apertura dei teatri e per la presenza a Roma di Pasquale Anfossi, che avrebbe dato l’«Alessandro nelle Indie».

Il giorno dell’Epifania lo trascorse nel palazzo della Propaganda, per assistere ad un dibattito pubblico tra tre cardinali sul luogo dove sarebbe avvenuto l’incontro tra la Vergine ed i Magi; al termine furono lette alcune poesie in latino sull’argomento da parte dei seminaristi, molti dei quali stranieri, che punto non apprezzò, come il restante pubblico, a parte il greco, che  «risuonò armonioso, quasi una stella, la quale splenda in limpido cielo».

Atena Giustiniani

Alla metà di Gennaio, visitò la Minerva conservata presso Palazzo Giustiniani, «la quale ottenne tutta quanta la mia venerazione». Il 15 gennaio, si rappresentò l’«Aristodemo» di Vincenzo Monti, «e per dir vero felicemente, e con molto successo – salvo poi aggiungere -: dal momento che l’abate Monti si trovava in stretta relazione colla famiglia dei nipoti del Papa, e che era tenuto in molto conto nell’alta società, vi era luogo a sperar bene; e difatti i palchi gli furono larghi di applausi. La platea poi, rimase fin da principio incantata dagli stupendi versi del poeta, e della perizia degli attori; e non lasciò passare inosservata nessuna occasione di manifestare la propria soddisfazione, il banco degli artisti tedeschi si distinse desso pure per gli applausi, e tuttoché fossero per avventura questi alquanto esagerati, erano però dovuti». Ebbe nota che il Monti era rimasto in casa, «molto inquieto intorno all’esito della sua tragedia, se non che, alla fine di ogni atto, gli vennero recate notizie della recita, le quali gradatamente convertirono in viva gioia, la sua ansietà. Ora non si mancherà di replicare il dramma, e le cose non potrebbero essere meglio avviate. Anche le cose le più disparate, quando possiedono merito intrinseco, non possono a meno di acquistare il favore tanto del pubblico quanto degl’intelligenti».

Ferdinando I Borbone delle Due Sicilie (1751 – 1825)

Il giorno 16, annotò sul diario: «Roma sta per perdere un grande capo lavoro dell’arte antica. Il re di Napoli intende fare trasportare colà nel suo palazzo l’Ercole Farnese».  Ferdinando I di Borbone-Due Sicilie infatti volle dare compimento alla Collezione Farnese, trasferendo a Napoli le sculture di Palazzo Farnese di Roma.  «Quella statua, vale a dire, dalla testa alle ginocchia, come parimenti i piedi collo zoccolo su cui posano, fu scoperta nei possedimenti dei Farnese; le gambe però, dalle ginocchia alle caviglie, mancavano, e furono eseguite da Guglielmo Della Porta, e restaurata in questo modo stette fino a questi giorni. Intanto nei possedimenti dei Borghesi, furono rinvenute le vere gambe antiche, le quali erano state allogate appunto, nella villa Borghese. Ora il principe Borghese si decise privarsi di quell’antichità preziosissima, e di farne omaggio al re di Napoli».

Il 18 gennaio, festa di S. Antonio abate, annotò curiosamente che: tutti i padroni dei cavalli «devono oggi starsene in casa, ovvero uscire a piedi». I preziosi animali quindi furono condotti nella piazza antistante la Chiesa dedicata al santo, nel quartiere Esquilino di Roma, dove «un sacerdote, armato di un poderoso aspersorio, prodiga a quelli vispi animali l’acqua benedetta, che toglie da un vasto recipiente, cacciandola loro talvolta addosso con tant’impeto, ed in tanta quantità, da farli imbizzarrire. I cocchieri devoti offrono candele di maggiore o di minore peso; i padroni mandano elemosine, regali, onde ottenere che quegli animali che sono loro di tanta utilità, vadano per l’anno immuni da ogni disgrazia. Prendono la loro parte pure a questa distribuzione d’acqua santa gli asini, e gli animali cornuti, i quali non sono punto tenuti in minor pregio degli altri, dai loro possessori».

Tito Livio (59 a. C. – 17 d. C.)

Il 19 gennaio, visitò il Campidoglio e poi s’imbarcò sul Tevere, ricordando la leggenda, narrata da Tito Livio, dei Gemelli fondatori.

Il giorno appresso notò come presso l’ospedale di Santo Spirito, nelle vicinanze del Vaticano, sia stato sezionato un corpo umano a servizio degli artisti, che tante statue producono, dove esaltano ogni particolare dell’efficiente macchina umana, sottolineando come costoro non studino le ossa, ma i «muscoli, i quali rivelano i movimenti, la vita».

Nel suo intenso peregrinare nei luoghi di maggior cultura, notò l’atteggiamento non sempre attento degli altri turisti, i quali seguono i loro capricci, abbandonandosi alla fantasia. Rimprovera il governo di non aver ben organizzato un museo, che potrebbe recare grande vantaggio agli studiosi e di non mostrare attenzione particolare verso quei capolavori, che si esportano (quanti lavori perduti, n.d. Alessandro).

Il 25 gennaio ricordò come la città di Roma sia nata grazie ad un ristretto numero di pastori, che costruirono delle capanne, mentre due giovani arditi gettarono le fondazioni dei un palazzo sopra un colle.

I sette colli «non si possono dire alture, rimpetto alla contrada che si stende a tergo di quelle; sono tali rimpetto al Tevere, ed all’antico letto di questo, che diventò poi il Campo Marzio».

Esaltò la ricchezza dei monumenti e deplorò lo stato di rovina, in cui versavano (già a quei tempi n. d. Alessandro)

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