Giuseppe Gioachino Belli: «Li conziji de mamma»

Il sonetto fu scritto il 14 settembre del 1830. Esso ubbidisce alle rime: ABAB – ABAB – CDC – DCD.

La mamma parla con la figlia, la quale sarebbe – a suo giudizio – molto aderente ai confini della morale, sicché si priverebbe di tante comodità, che potrebbe acquisire attraverso un comportamento diverso. L’invito è chiaro e perentorio: se un ricco volgesse lo sguardo, la invita a mostrarsi ben disposta a servirlo, e pronta ad accettare anche gli eventuali fastidi. Se nascessero delle chiacchiere a proposito dell’atteggiamento, allora la ragazza dovrebbe virare verso una condotta maggiormente riservata; ricordando sempre che l’aiuto non arriverà mai gratis dal prossimo, ed al fine di non affogare, ognuno si deve aiutare come può.

Vedi l’appiggionante ch’ha ggiudizzio

Come s’è ffatta presto le sscioccajje?

E ttu, ccojjona, hai quer mazzato vizzio

D’avè scrupolo inzino de le pajje!

.

Io nun te vojjo fa ccattivo uffizzio,

Ma indóve trovi de dà ssotto, dajje:

Si un galantomo ricco vò un servizzio,

Nun je lo fa ttirà cco’ le tenajje.

.

T’avessi da costà cquarche ffatica,

Vorrebbe dì: ma ttu méttete in voga

E ppoi chi rróppe paga: è istoria antica.

.

Oh, cquanno vederai troppa magòga,

Tiètte su, e dàlla a mmollica a mmollica.

Chi nun s’ajjuta, fijja mia, s’affoga.

.

 (Vedi la condomina che ha giudizio / ha comprato in breve tempo degli orecchini? / e tu, ingenua, a causa di quel maledetto vizio, / provi degli scrupoli anche per un nonnulla.

Io non voglio mal servirti / ma dove trovi la possibilità, accetta: / se un ricco volesse qualche servizio / non farlo attendere per troppo tempo.

Qualora ti costasse fatica, / vorrei pur darti ragione, ma tu agisci lo stesso / e poi chi rompe paga: è una vecchia storia.

Quando sentirai troppi pettegolezzi / non ti abbattere, e dalla con parsimonia / perché chi non si aiuta, figlia mia, si affoga).

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