Il viaggio degli Argonauti secondo Apollodoro

Narra Apollodoro nella «Biblioteca» di Atene.

Bertel Thorvaldsen: Giasone col vello d’oro

Nacque da Esone e Polimede, Giasone, abitante a Iolco durante il regno di Pelia. Il sovrano consultò l’oracolo, per ricevere informazioni sul suo futuro ed il dio lo mise in guardia dall’uomo, che avrebbe indossato il mono sandalo, perché lo avrebbe ucciso.

Sin dal tempo antico, l’uomo cerca delle risposte alle sue temibili domande sul futuro, il quale sarebbe uno spazio ben delineato, nel quale solo gli dei, ed i loro profeti, possono leggere.

In riva al mare, il re offriva sacrifici al babbo Poseidone insieme al suo seguito. Giasone, saputo l’evento, abbandonò l’usuale lavoro dei campi per recarsi alla cerimonia; nell’attraversare il fiume Anauro, l’eroe perse un sandalo. Pelia, quando lo vide arrivare, si ricordò del triste ammonimento del dio, di guardarsi dall’uomo col mono sandalo; si avvicinò a Giasone, per chiedergli come avrebbe agito, se avesse saputo che un suo concittadino avesse attentato alla sua vita.

L’eroe gli rispose che gli avrebbe ordinato di recare il vello d’oro.

Glifo del segno zodiacale dell’Ariete

Il vello d’oro è il simbolo dell’Ariete, primo segno zodiacale e quindi la risposta di Giasone si potrebbe collegare all’infinito inizio, al pre – tempo. Vorrebbe così indicare al re l’indicazione di tornare all’origine nella compiutezza dell’αἰών.

 Appena udita la risposta, Pelia lo invitò a recarsi nella Colchide, onde prendere un montone appeso ad una quercia, piantata nel bosco sacro ad Ares, mettendolo in guardia dal serpente, che era stato posto a difesa della preziosa preda.

Marte (Musei Capitolini)

La Colchide era un territorio assai ricco dell’ambito omerico. Il bosco rappresenterebbe la «selva oscura» di Dante, il principio spirituale dell’uomo, il quale, al fine di ricercare la verità (il vello d’oro) deve tornare alla sua origine, poiché solo all’interno di sé si potrà rivelare il vero. Il dio Ares, verso cui era stato consacrato il bosco, è Marte, signore del segno dell’Ariete.

Grazie all’aiuto di Atena, fabbricò con Argo, figlio di Frisso, una nave a cinquanta remi, appunto: Argo, dotata di un pezzo della quercia di Dodona, antica città dell’Epiro, dotato di parola.

Atena ovvero la conoscenza è sempre presente nell’ambito dei miti greci, poiché è l’unico strumento per perfezionare la natura tellurica dell’uomo. In cima alla nave, costruita dall’abilissimo artigiano Argo, Atena pone un pezzo della quercia di Dodona, sacra a Zeus, famosa per le scelte oracolari.

Prima di partire, Giasone, secondo costumanza, chiese al dio ragguagli utili, perché il progetto si realizzasse. Avrebbe dovuto radunare gli uomini più valorosi della Grecia, tra cui il capacissimo pilota Tifide, il cantore Orfeo, i dioscuri ed Eracle, figli di Giove, Teseo, probabile figlio di Poseidone e quindi possibile fratello del re Pelia, l’indovino Anfiarao, Laerte padre di Ulisse, Autolico ed Eurito figli di Ermes, Atalanta unica donna argonauta.

Gli eroi salparono alla volta della Colchide, sostando nella città di Lemno, in cui non avevano dimora gli uomini, perché, non essendo le donne devote ad Afrodite, erano state condannate ad emanare un cattivo odore. Essendo state disprezzate dai padri e dai mariti, li uccisero ad eccezione della regina Issipile, che nascose il babbo, Toante, per salvargli la vita. Appena sbarcati, gli Argonauti si uniscono alle donne e Giasone con la regina, rendendola madre di due figli.

Nella prima tappa, trova facile soddisfazione l’Elemento Terra – fisicità coll’unione del maschile col femminile.

La seconda tappa portò gli Argonauti presso la terra dei Dolioni, governata dal re Cizico, accolti benevolmente. Al calar di una notte, salparono, non accorgendosi dei venti contrari e quindi tornarono nuovamente da dove erano partiti, stavolta scambiati per i nemici Pelasgi e quindi si scatenò una lotta furibonda tra i due popoli. Durante la contesa cadde il re Cizico e la mattina appresso, riconosciutisi quali amici, si tagliarono i capelli, organizzando una solenne sepoltura al re scomparso.

La prova del Vento trova impreparati gli Eroi, che sono così costretti a saggiare la parte meno conosciuta dell’Elemento, che li riporta al punto del precedente approdo: il cammino sulla via della conoscenza continua.

Gli eroi ripresero il loro corso, per approdare in Misia. L’argonauta Ila, amato da Ercole, fu incaricato di attingere dell’acqua; le ninfe, vista la bellezza del giovane, lo rapirono. Le grida di aiuto giunsero alle orecchie di Polifemo, che, sguainata la spada, si gettò all’inseguimento. Nel tragitto, incontrò Eracle, che fu immediatamente edotto dell’accaduto. I due eroi allora si volsero all’inseguimento di Ila, mentre la nave riprese il suo corso, abbandonando al loro destino i due argonauti.

Castore e Polluce

La tappa successiva fu verso la terra dei Bebrici, governata da Amico, figlio di Poseidone, il quale costringeva gli stranieri a battersi a pugni, per ucciderli, ma in quell’occasione, non ebbe la meglio, perché morì sconfitto da Polluce.

Poseidone, dio delle acque, è costantemente presente in questo lungo viaggio per il mare. Ancora una volta, l’intervento del figlio di Zeus, risolve l’ostacolo da superare; essendo una prova fisica, l’argonauta offre il meglio di sé e così salva la vita e l’impresa.

La spedizione giunse a Salmidesso di Tracia, dove viveva l’indovino non vedente, Fineo, forse figlio di Poseidone (ancora la presenza del dio delle acque), che soffriva anche le arpie, le quali, quando si apprestava a mangiare, piombavano dal cielo, per rubargli il cibo. Avvicinato dagli Argonauti, promise loro di rivelare il più sicuro itinerario, per raggiungere la Colchide, se lo avessero liberato da quegli esseri alati. Preparata la tavola, le Arpie si presentarono, per rubare il cibo; immediatamente furono affrontate dagli alati Zete e Calais, figli di Borea, che le trafissero. Due figli del vento del Nord, ebbero la meglio su degli esseri mostruosi, metà animale e metà donna.

Fineo allora rivelò agli Argonauti la rotta, avvisandoli sulle rocce Simplegadi, che cozzavano le une contro le altre a causa dell’impeto dei venti, impedendo il passaggio alle imbarcazioni. L’indovino suggerì l’invio di una colomba, la quale, se fosse passata indenne, avrebbe sancito il passaggio della nave. Interessante la simbologia legata alla colomba, animale sacro a Venere, che nell’ambito cristiano avrà una forte valenza di pace, quale rappresentazione dello Spirito Santo.

Gli Argonauti si comportarono secondo il suggerimento dell’indovino e così, lasciando precedere la colomba, la quale rimase vittima di un piccolo incidente, poiché le rocce le mozzarono una parte della coda. Appena le rocce si distaccarono, grazie anche all’aiuto di Era, la barca riuscì a passare, salvo un incidente alla poppa della nave.

Gli Argonauti arrivarono presso i Mariandoni, accolti amichevolmente dal re Lico, ultima tappa prima dell’agognata meta: la Colchide.

Ormeggiata la nave, Giasone si condusse dal re Eeta, per informarlo dell’ordine, ricevuto da Pelia, di recargli il vello. Ancora una volta, si pone una condizione all’eroe: aggiogare i tori dagli zoccoli di bronzo e dalla bocca di fuoco, che aveva ricevuto in dono da Efesto; quindi seminare i denti del serpente, che Cadmo aveva ricevuto da Atena.

Glifo del segno zodiacale del Toro

Nell’antichità, il toro era simbolo di sacrificio di sé, di altruismo, come di forza invincibile e di fertilità – avendo attributi femminili (le corna) -,  poiché nel glifo del segno zodiacale appare come un utero fecondato dall’arrivo della primavera. Essendo stati dono di Efesto, dio del Fuoco e della metallurgia, gli zoccoli erano di bronzo, antica lega con cui si producevano gli oggetti per le sacre funzioni. Il serpente è stato simbolo di sapienza, fino alla nuova interpretazione della civiltà cristiana ed è quindi regalo di Atena.

Giasone non sapeva come comportarsi, quale strategia attuare e, per sua fortuna, ricevette il consiglio dell’innamorata Medea, figlia del re Eeto. La donna avrebbe aiutato l’eroe, se si fosse impegnato a condurla con sé alla fine dell’impresa nell’Ellade. Giasone s’impegnò; e ricevette un filtro da spalmare sullo scudo, sulla lancia e sul proprio corpo prima di aggiogare i tori, per raggiungere l’invulnerabilità al fuoco ed al ferro (ad Efesto ed a Marte). Medea l’avvisò che, dopo aver seminato i denti del serpente, sarebbero spuntati degli uomini armati dalla terra, dai quali si sarebbe dovuto difendere, lanciando delle pietre, che avrebbero provocato una zuffa dei militi, che si sarebbero uccisi tra loro.

George Romney. Medea

Nella fabula, la maga (l’imponderabile) è sempre presente, a volte in sostituzione di un evento magico, inspiegabile agli uomini, che forse per ciò avrebbero inventato gli Dei, raccolti in un mondo lontano, ma attenti scrutatori delle cose umane, pronti ad intervenire in aiuto. L’unguento sarà la misura necessaria, che permetterà all’Eroe di condursi vittorioso, perché sarà inalienabile alle resistenze del Ferro e del Fuoco, sfiorando l’invincibilità. Egli potrà combattere gli armati, puntando sulla loro divisione, grazie al lancio di sassi; quindi l’elemento Terra, generatore, che, ancora una volta, conferma la supremazia sugli Elementi.

Dopo essersi preparato, seguendo scrupolosamente le indicazioni della donna, Giasone si recò nel bosco, assalito dai tori, ma riuscì ad aggiogarli. Seminò i denti del serpente, che generarono degli uomini armati, che furono oggetto di fitta sassaiola ed uccisi.

In molte fabulae, l’eroe deve recarsi nel bosco, simbolo di un ritorno alle origini, alla propria interiorità, alla fonte della vita, il cui cammino è, appunto, un labirinto, che si deve percorrere, al fine di trovare la soluzione.

Tornato dal re Eeta, questi si rifiutò di consegnargli il vello e minacciò d’incendiare la nave, sterminando gli uomini a bordo. Ancora una volta, Medea intervenne, conducendo Giasone nel luogo, dove un terribile serpente, custodiva il vello. Addormentato, grazie ai suoi filtri, il temibile guardiano, l’Eroe prese il vello, riconducendosi alla nave, seguito da Medea e dal di lei fratello, Apsirto.

La donna rappresenta l’intuizione, la parte femminile, che volge sempre uno sguardo verso l’insondabile futuro. Medea produce un liquido, col quale addormenta la conoscenza – serpente, perché la sapienza possa finalmente raggiungersi. Quindi oltre la conoscenza, la fabula c’insegna l’esistenza della sapienza, una conoscenza più sottile, meno legata al tempo ed allo spazio.

Quando il Re seppe dell’accaduto, la nave, con a bordo i suoi due figli, era già lontana; nonostante ciò ordinò che fosse seguita e raggiunta. Appena gli Argonauti avvistarono la pericolosa imbarcazione, Medea non esitò ad uccidere il fratello, riducendolo in brani, per gettarlo in mare, costringendo il babbo a rallentare la velocità, al fine di recuperare il corpo a brandelli dell’amato figlio. Quindi, ordinò di cambiar rotta, perché potesse dare degna sepoltura ad Apsirto.

Quando gli Argonauti si apprestarono a superare il fiume Eridano, Zeus l’investì con un violento uragano, irato per la morte tremenda di Apsirto, smarrendone la rotta. Ora l’Elemento Acqua è investigato nel rovescio della sua valenza benefica, positiva, per l’uomo. Al fine di essere liberi dall’ira di Zeus, la quercia parlante, posta a prua, consigliò di far visita a Circe, in Ausonia nell’isola di Eea, perché procedesse nell’opera di purificazione. Circe era la sorella di Eeto e quindi zia di Medea, la quale aveva abusato delle sue capacità magiche e s’era macchiata di un orrendo fratricidio; una donna, col suo stesso sangue, dovrà operare, perché l’ordine degli Dei ia restituito. La presenza di due donne, colla stessa capacità, espressa nel Duale, è spesso presente all’interno delle fabulae, per significare e ricordare quel Duale, che è in noi.

Dopo essere stati purificati da Circe, ripartono, costeggiando l’isola delle sirene, le quali cantano ammaliando i marinai, ma grazie al fortuito intervento di Orfeo la magia cessa. Grazie anche all’intervento della nereide, Teti, la nave superò l’irto ostacolo di Scilla e Cariddi; costeggiarono l’isola di Trinacria e giunsero presso Corcira, l’isola dei Feaci, governata da re Alcinoo, al quale alcuni Colchi, già giunti nel suo regno, chiesero la restituzione di Medea. Il re stabilì che, se la donna si fosse conservata vergine, l’avrebbe restituita al babbo; in caso contrario, sarebbe rimasta di Giasone. Al fine di non dividere la felice coppia, i due si sposarono immediatamente, spuntando il progetto dei Colchi.

Durante una notte di navigazione, gli Argonauti furono investiti da un’improvvisa tempesta; grazie ad una freccia infuocata, scagliata da Apollo. Al fine di salvare la vita, sbarcarono su un’isola, sulla quale, ringraziando l’intervento salvifico e provvidenziale, innalzarono un altare ad Apollo. Si posero in viaggio, impediti da Talo, il gigante di bronzo a guardia dell’isola di Creta, di sbarcare. Intervenne, ancora una volta, Medea, che lo colpì grazie ad i suoi filtri magici e rese possibile lo sbarco ed il riposo notturno. Il viaggio durò quattro mesi, mentre Pelia, convinto che la spedizione fosse fallita, voleva uccidere Esone, padre dell’Eroe, il quale chiese ed ottenne di sacrificarsi, bevendo del sangue di toro. La madre di Giasone, saputa la sciagura, s’impiccò, non prima di aver maledetto Pelia, ormai assetato di sangue, che ordinò di uccidere il fratello imberbe del Protagonista, Promaco.

Giasone e il vello d’oro

Giasone consegnò al Re il vello; quindi consacrò, insieme ai compagni di viaggio, la nave a Poseidone, per dedicarsi finalmente alla vendetta. Medea, ancora una volta, è lo strumento, attraverso cui operare i suoi progetti: ella avrebbe dovuto convincere le figlie del Re di uccidere il babbo, per bollirne le carni, onde poter recuperare la perduta giovinezza. Al fine di dimostrare la bontà del suo proposito, la maga uccide e bolle le carni di un montone, trasformandolo in agnello. L’ingenuità e la buona predisposizione delle ragazze provocano la morte di Pelia. Il principe Acasto dà degna sepoltura al padre, cacciando da Iolco la mefistofelica coppia, che avrebbe trovato felice ospitalità presso Corinto, il cui re, Creonte, avrebbe promesso in sposa la figlia Glauce all’Eroe. Giasone quindi non esitò a ripudiare Medea, per unirsi alla futura regina, causando la terribile vendetta della maga, che inviò in regalo un peplo, intriso di veleno, alla nubenda, che, indossato, rimase arsa insieme al babbo. Quindi l’ultimo e più atroce atto: l’uccisione dei due rampolli, Mermero e Fere, avuti da Giasone; infine, fuggì ad Atene su un carro, trainato da serpenti alati, ricevuto in dono da Elio.

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