Il mondo dell’Opera nel Settecento. Ascesa e declino degli evirati cantori (prima parte)

Furono i veri, unici protagonisti e padroni del teatro lirico d’Europa del ‘600 e del ‘700, ammirati e ricercati dalle Corti del vecchio continente: tutti italiani! L’evirazione era una pratica già presente in Asia Minore ed in Egitto, quale suffragio alle divinità locali. In Grecia, gli evirati – sacerdoti erano consacrati a Cibele, la Grande Madre Idea, successivamente identificata con Rea, moglie di Cronos – Saturno.

Con Platone, scomparse la triste mutilazione, perché il filosofo interpreta l’androgino come unità perfetta preesistente alla divisione dei sessi. Aristotele, nelle Storie degli animali, descrisse gli effetti del canto dell’atroce pratica. L’intervento sull’apparato genitale maschile avrebbe impedito lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, tra cui l’ispessimento delle corde vocali, le quali sarebbero rimaste esili e sottili, seppur sostenute da una cassa toracica di notevole spessore. Il suono così generato, non avrebbe avuto molto di simile alla voce bianca dei sopranini e, nel contempo, non sarebbe somigliato all’emissione del soprano, poiché l’agilità delle corde sarebbe stata notevolmente maggiore da permettere delle stupefacenti acrobazie vocali, sostenute da fiati di enorme portata. L’intervento doveva essere seguito poco prima della muta della voce e, pur essendo, un’operazione orribile, il canto dovette piacere così tanto che, comunque, si sparse immediatamente all’interno delle Scuole di musica italiane. La posizione della Chiesa fu ondivaga; durante il Concilio di Nicea (325), raccomandava la frase di San Paolo, tratta dalla Prima Lettera ai Corinti: Mulier taceat in ecclesia (la donna taccia in Chiesa), per poi condannare l’atroce mutilazione. 

Cassio Dione (155 – 235)

Nella Chiesa orientale, i castrati prendevano parte ai sacri riti; Cassio Dione, storico romano di lingua greca, raccontò le emozioni scaturite dal canto di un castrato nel 200 d. C. Al Farabi, nel testo Il grande libro della musica (X secolo) parlò di voci estremamente duttili, che addirittura coprivano un’estensione di tre ottave. 

In Occidente, gli evirati erano impiegati durante il servizio liturgico, il cui compito era quello di scolpire le parole, volgendo poca cura al canto melismatico; la polifonia del 1400, svilupperà l’interesse per il canto fiorito.

Abu Nasir Al Farabi (872 – 950)

A seguito dello scisma, provocato da Martin Lutero nel 1517, Papa Paolo III (Alessandro Farnese) convocò un Concilio a Trento (1545), durante il quale alcuni prelati presentarono dei documenti, coi quali si chiedeva di abolire il canto liturgico, divenuto, nel tempo, una pura e mera esibizione di virtuosismi, dimenticando così l’aspetto devozionale. 

Intervenne allora il Palestrina, che coll’esecuzione della Missa Papae Marcelli, composta in onore di Marcello II, ma eseguita al cospetto di Paolo IV, a causa dell’improvvisa morte del destinatario dell’importante composizione, dimostrò come sarebbe stata possibile la convivenza tra le esigenze devozionali e quelle musicali, laddove l’una si sarebbe fusa nell’altra in un impasto di equilibrio formale.

Papa Paolo III (1468 – 1539)

La Cappella Musicale Pontificia, creata da Papa Sisto IV alla fine del ‘400, accolse degli evirati sin dal 1562. Il coro si arricchì, col passar del tempo, di numerosi mutilati, i quali iniziarono ad usare un vezzeggiativo, o nome d’arte, al posto del cognome: il primo caso riconosciuto è quello di Girolamo Rosini (nato a Perugia il 1581) detto Rosino.

Giovanni Pierluigi Palestrina (1525 – 1594)

Nell’austera Germania, patria dello scisma luterano, il cattolicesimo allineva tra le sue fila il celebre Orlando di Lasso, direttore di cappella a Monaco, che annoverava sei evirati nella composizione del coro. Il fenomeno si diffuse in Spagna, probabilmente grazie alla penetrazione araba, che portò in dono la triste pratica, di cui i re cattolici, riconquistata la penisola al verbo di Cristo, ne permisero la permanenza. 

Orlando Di Lasso (1532 – 1594)

Anche il nascente melodramma ad opera delle dotte discussioni della Camerata Bardi in Firenze, non rimase indifferente al canto degli evirati; infatti, per l’esecuzione dell’Orfeo di Claudio Monteverdi, Francesco IV Gonzaga, duca di Mantova, si adoperò, per avere da Firenze il castrato Gualberto Magli, che interpreterà i ruoli della Musica e di Prosperina.  

(continua)

(7 giugno 2017)

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