Le mille facce del mito

All’interno del melodramma settecentesco, frequentissimi furono i ricorsi all’ampio spazio mitologico greco e romano attraverso libretti da porre in musica per un pubblico, che amava ascoltare vicende conosciute e rassicuranti. L’imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo VI d’Asburgo, non amava la catastrofe e pretendeva che il pubblico uscisse dal teatro rassicurato e felice per il lieto fine, con sui si sarebbe risolto l’«intreccio».

Marco Coltellini, librettista dell’Antigona per la musica di Tommaso Traetta, nella prefazione anticipa al pubblico che «il soggetto del presente dramma, il medesimo che ha dato luogo alla famosa tragedia di Sofocle, […] porta dei cambiamenti tanto nella condotta che nella catastrofe che si sono giudicati più opportuni alle leggi del teatro musicale e alla delicatezza dei principali spettatori, per cui fu destinato».

Francesco Algarotti, per il libretto della «Didone abbandonata» su musica di Leonardo Vinci, annuncia che «in alcune parti ho seguito l’antico Poeta, e in alcune altre il moderno […] per aver reso l’azione semplicissima».

La mitologia greca, in particolare, sarebbe stata accolta anche nel contesto delle cantate, grazie al linguaggio e quindi all’atmosfera rarefatta, perché distaccata dal fluire del tempo, che l’avrebbe collocata nel contesto di un tempo mitico, dove uomo e divinità avrebbero convissuto in una dimensione di reciproca, confidente stima. Il contesto mitologico sarebbe sopravvissuto alle inevitabili «riforme»  e le iniziative progressiste di Zeno e Metastasio, Jommelli, Mozart, Cherubini, volte a correggere, a semplificare a restituire al gusto del pubblico un prodotto meno edonistico e fruibile solo o quasi sul piano dell’esclusivo piacere uditivo. Anche la tragédie lyrique non si sarebbe mai depauperata dell’importante sostegno proveniente dal flusso delle emozioni ed insegnamenti mitologici.

Il mito, nell’antichità, era rappresentato in teatro, oltreché nell’apparato poetico e parastorico, nella libertà dell’esposizione dei fatti; il travaso nell’esperienza melodrammatica si colora di romanzesco – come nell’Alceste di Händel, di eroicomico con Guglielmi, che reclama una caduta dal cielo di Apollo; Cherubini umanizza – per quanto possibile – la figura tragica di Medea, mentre Rameau configura il mito di Fedra in uno spazio esautorato dalla turpitudine e dalla trasgressione.

Nell’ampio settore mitologico, il librettista indirizzava generalmente le sue scelte verso i miti lontani nel tempo, divisi tra un’origine religiosa e un’acquisizione pastorale. Il prolifico librettista Pietro Metasasio, poeta cesareo, fornì ai musicisti dell’epoca drammi, che sarebbero stati più volte poste in musica, contando numerosissime versioni in tutta Europa. Letterati, ritenuti «moderni», come Calzabigi, Verazi e Coltellini mirarono ad una più precisa identificazione dell’elaborato, fornendo testi specifici per le esigenze teatrali di Gluck, Jommelli e Traetta. Piuttosto solitaria seppur spiccata la figura dell’oscuro librettista François de Guillard, manovrato dall’infallibile regia di Christoph Willibald Gluck ,che aderì al modello euripideo nella Iphigénie en Tauride, dove gli scioglitori dell’«intreccio», Pilade e Diana, avrebbero incarnato l’azione umana in concordia con il provvedimento divino – l’homo ex scaena e il deus ex machina.

Insomma: inchini, parrucche, languori e sospiri all’interno del melodramma mitologico settecentesco, ma anche semplicità, austerità, moralità e forse, creatività.

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