A proposito dei carteggi verdiani editi da Alessandro Luzio

A distanza dall’anno della pubblicazione (1935), i Carteggi verdiani, curati da Alessandro Luzio, rappresentano una prima stesura storica dell’importante scambio epistolario, che Giuseppe Verdi ebbi coi suoi contemporanei.

Ripercorriamo la suddivisione operata dal curatore: il primo carteggio è costituito dalle lettere dei coniugi Verdi con Cesare e Giuseppe De Sanctis, a testimonianza dei rapporti napoletani, riassunti in tre fasi: 1849 – 52 per l’andata in scena della Luisa Miller e la preparazione de Il Trovatore; 1858 per gl’incidenti provocati dalla censura napoletana con Un ballo in maschera; 1869 – 72 – 73 per le riprese del Don Carlo, dell’Aida e per l’offerta della direzione del Conservatorio di musica. I carteggi col pittore Domenico Morelli, il giornalista Vincenzo Torelli ed il bibliotecario Francesco Florimo; quindi le caricature verdiane di Melchiorre Delfico.

Il secondo volume illumina la genesi dell’Otello, del Falstaff, dei Pezzi Sacri, recando importanti notizie per la mancata realizzazione del Re Lear ed, infine, illustra i rapporti che Verdi ebbi con le grandi figure del suo tempo: Giuseppe Mazzini, Alessandro Manzoni, Gioachino Rossini e Richard Wagner, con il Maestro Angelo Mariani, il soprano Teresa Stolz, il mezzosoprano austriaco Maria Waldmann.

Chiaro ogni aspetto della complessa psicologia verdiana: l’uomo, l’artista, il genio sono uniti e la sua forte personalità traspare da qualsiasi lettera di qualsiasi periodo. Si rivela anche un uomo attaccato, con semplicità, alla terra natia, su cui vive sgombra di sogni ed illusioni. Spesso siamo colpiti dai toni piuttosto burberi ai limiti dello screanzato, in qualche modo riparati da squarci di scontrosa, superba umanità.

Dell’umana schiettezza, vi è particolare rimedio nel carteggio col napoletano De Sanctis, un umile e modesto commerciante, cui rintuzzava tutte le inutili chiacchiere, che coinvolgevano la figura del Maestro, mentre il cattivo ricordo della censura napoletana, lo stato pietoso della situazione teatrale, l’avarizia dimostrata della direzione del S. Carlo sarebbero rimaste fuori dalla discussione cartacea. Verdi arrivò anche a prestare dei soldi al commerciante, che poi avrebbe faticato, e non poco, l’attesa restituzione, scatenando nel musicista una tempesta di malevoli intenzioni.

Il secondo volume offre i capitoli più preziosi riguardanti la collaborazione con Arrigo Boito, iniziata col rifacimento del Simon Boccanegra (1881), cui il librettista – musicista si sottopose con un minuzioso lavoro di riadattamento poetico – drammatico, nonostante fosse alle prese colla composizione del Mefistofele, sposando pienamente gl’intendimenti teatrali del Maestro, così come si evince dal frammento della seguente lettera:

«Mi accordo con Lei, caro Maestro, pienamente, intorno alla teoria del sacrificare, quando occorra, l’eufonia del vero e della musica all’efficacia dell’accento drammatico e della verità scenica» (II, p. 89).

Seguono quindi due capitoli, riguardanti i libretti dell’Otello e del Falstaff, nel nobile atteggiamento del Boito verso la  possente, volontaria coerenza creatrice ed ispiratrice del Verdi, che dominerà nella costruzione dell’Otello, tantoché il librettista annoterà:

«[…] nel mio libretto mi sono messo nel punto di vista dell’arte verdiana, gli è perché ho sentito scrivendo quei versi ciò ch’Ella avrebbe sentito illustrandoli con quell’altro linguaggio mille volte più intimo e più possente, il suono» (vol. II, p. 102).

I documenti del Luzio ci rivelano quali cambiamenti furono operati dal Boito a seguito dei consigli, acutissimi, del Maestro, che miravano alla conquista dell’unità drammatica del libretto, tutte le assillanti esigenze, ma anche la fiducia enorme, sostanziata di stima nei riguardi del suo fedele collaboratore. Così come accadde durante le collaborazioni con Francesco Maria Piave ed Antonio Somma, Verdi pretende un libretto, che serva la causa suprema dell’arte attraverso la cultura e la forza penetrante dell’ingegno di Arrigo Boito, dimentico ormai del tormento della composizione del Nerone.

«[…] e saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me, perché Lei vive nella vita vera e reale dell’Arte, io nel mondo delle allucinazioni». (vol. II, p. 103)

L’autografo del libretto di Falstaff mostra pochi rimaneggiamenti, rispetto all’Otello, perché maggiore sarebbe stato lo scambio delle opinioni tra i deuteragonisti prima d’intraprendere la fase della scrittura musicale. Boito si dimostrò un eccellente intuitivo nel realizzare i desideri e le insospettate possibilità del Verdi, che si sarebbe affidato al librettista, certo che il lavoro avrebbe dimostrato una raffinata precisione di caratteri e di situazioni. Il librettista spronò il Maestro, lo incitò verso l’arduo impegno, vincendo scrupoli e risolvendo difficoltà. Le sue lettere sono testimonianza di una serena e sobria commozione, in cui Arrigo fu il felice ispiratore della

«[…] fuga burlesca […] che non mancherà il posto di collocarla. I giuochi dell’arte sono fatti per l’arte giocosa» (vol. II, p. 147).

Verdi rifiutò con decisione i bamboleggiamenti lirici, mistici o addirittura estatici, per rincorrere il senso di verità della vita umana nel conflitto rude e scarnito delle passioni elementari.

«Ma verrà un tempo, spero, in cui anch’io mandando al diavolo le note potrà godere un po’ più la vita che non ho fatto finora: e si che ho lavorato tanto».

Certo fu il suo amore per la cultura, quale frutto di studio, fatica e lavoro, riassunto mirabilmente in una lettera di Arrigo Boito:

«Bisogna obbligare gli studenti anche a studiare un poco di storia su dei testi scritti bene e semplicemente, tanto da imparare nello stesso tempo i gran drammi dell’umanità e il bello stile della lingua. Bisogna obbligarli a studiare un poco di prosodia e di declamazione, perché imparino ad accentuare il dialogo umanamente come vuole il Vero, poiché la musica non è altro che il suono del sentimento e della passione. Io tutte queste cose le ho imparate da Lei che ha la messe in pratica, e mi dica Lei se le ho imparate bene; vorrei poterle mettere in pratica anch’io nel mio lavoro e suggerirle a chi governa gli studi per offrire a chi studia la possibilità di studiare bene». (vol. II, pag. 141)

Lascia un commento

search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close